Uno studio di un team di ricerca della Sapienza, in collaborazione con l’Istituto Pasteur di Roma, l’Università Cattolica e il Jackson Laboratory (USA), ha caratterizzato il meccanismo di azione di due molecole per rallentare il declino muscolare legato all’età. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Aging Cell Uno dei primi effetti dell’invecchiamento è la perdita di massa muscolare scheletrica associata a una riduzione della forza. Questo processo, denominato sarcopenia, è spesso accompagnato dall’alterazione delle giunzioni neuromuscolari, con conseguente compromissione della comunicazione tra sistema nervoso e tessuto muscolare. È importante quindi mantenere funzionanti e in salute i muscoli anche nell’età senile per aumentare la qualità stessa della vita delle persone anziane. Per fare luce su questo meccanismo, un nuovo studio coordinato dal gruppo di ricerca di Antonio Musarò del Dipartimento di Scienze anatomiche istologiche medico legali e dell'apparato locomotore della Sapienza, in collaborazione con l’Istituto Pasteur-Italia, l’Università Cattolica di Roma e il Jackson Laboratory (USA), ha analizzato il fattore di crescita IGF-1, che ha un ruolo fondamentale per il differenziamento delle cellule muscolari.


Eliminare le numerose alterazioni genomiche attualmente incurabili trapiantando un intero cromosoma nelle cellule che presentano il difetto genetico. Questo il nuovo metodo proposto da un team di ricercatori del Cnr-Irgb e Humanitas per il contrasto alle malattie genomiche, come la Malattia granulomatosa cronica o la Distrofia di Duchenne. Il lavoro pubblicato su Stem Cells

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla messa a punto di interessanti approcci alla terapia genica per le malattie ereditarie, basati sulla tecnologia CRISPR/Cas9 e sull’uso di speciali vettori virali che hanno semplificato notevolmente la correzione di piccole alterazioni genetiche. Purtroppo non tutte le patologie ereditarie sono curabili con queste strategie, poiché alcune di esse sono dovute ad alterazioni genomiche di grandi dimensioni come aneuploidie, duplicazioni, inversioni e altri riarrangiamenti complessi. Ricercatori dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica (Cnr-Irgb) e dell’Irccs Humanitas di Milano hanno messo a punto un nuovo metodo che potrebbe consentire di curare anche queste malattie. Lo studio è pubblicato sulla rivista Stem Cells.

 

Scoperto un nuovo meccanismo che modifica i vasi tumorali e contribuisce a rendere il cancro più aggressivo: una nuova prospettiva per la terapia anti-angiogenetica. Lo studio - di un gruppo di ricerca dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, sostenuto dall’Airc e in collaborazione con lo Ieo di Milano - è pubblicato su eLife

 Un gruppo di ricerca dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igm) di Pavia guidato da Claudia Ghigna, sostenuto dall’Airc-Associazione italiana per la ricerca contro il cancro e in collaborazione con il gruppo di Ugo Cavallaro dello Ieo di Milano, ha scoperto che nei vasi sanguigni del tumore ovarico, una delle cause più comuni di morte per cancro nella popolazione femminile tra i 50 e i 69 anni, viene prodotta una nuova variante delle proteina L1, a cui è stato dato il nome di L1-deltaTM, attraverso un meccanismo di ‘taglia e cuci’ noto come splicing alternativo. Lo studio è pubblicato sulla rivista scientifica eLife.

“Attraverso lo splicing alternativo i mattoni che formano i geni umani possono essere montati in vari modi, consentendo a un singolo gene di produrre proteine differenti”, spiega Claudia Ghigna. “I risultati della ricerca accendono i riflettori su questo meccanismo molecolare e sul suo ruolo, fino ad oggi poco conosciuto, nei vasi tumorali. Infatti, la nuova variante L1-deltaTM, è frutto del mal funzionamento dello splicing alternativo nelle cellule che compongono i vasi sanguigni del tumore ovarico”.

Un nuovo studio coordinato dai Dipartimenti di Psicologia e di Neuroscienze umane della Sapienza ha indagato, mediante test di navigazione spaziale, quali processi cognitivi legati alla capacità di orientarsi nell’ambiente sono precocemente coinvolti nell’invecchiamento patologico e in alcune malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Alzheimer’s Disease

La difficoltà nella navigazione spaziale, cioè la capacità di orientarsi nell’ambiente, rappresenta spesso il primo sintomo dell'invecchiamento patologico e di alcune malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Il team di ricerca coordinato da Cecilia Guariglia del Dipartimento di Psicologia e Carlo de Lena del Dipartimento di Neuroscienze umane ha condotto uno studio trasversale, confrontando l’invecchiamento normale e patologico, con l’intento di indagare i processi neuropsicologici coinvolti nel decadimento cognitivo. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Alzheimer’s Disease.

Lo studio, realizzato in collaborazione con il Laboratorio di Neuropsicologia dei disturbi visuo-spaziali e della navigazione della IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma, ha coinvolto 19 individui sani e 19 pazienti con diagnosi di Mild Cognitive Impairment (MCI). Per MCI si intende decadimento cognitivo lieve ovvero una condizione clinica caratterizzata da una difficoltà in uno o più domini cognitivi (quali ad esempio memoria, attenzione o linguaggio) in individui con conservata autonomia funzionale.


Lo studio internazionale condotto dal Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli ha individuato in uno specifico enzima la capacità di stimolare la proliferazione delle cellule tumorali legando molecole di RNA. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nucleic Acids Research, supporta con nuove evidenze lo sviluppo di approcci terapeutici innovativi basati su inibitori a RNA
Un nuovo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin, l'Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm), il Centre for Genomic Regulation di Barcellona e l'Istituto catalano di oncologia di Girona, ha messo in luce il ruolo di una proteina, la Serina idrossimetil trasferasi (SHMT) nel sostenere l'elevata capacità proliferativa delle cellule tumorali.

I risultati della ricerca, finanziata dall’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (Airc), sono stati pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research.

Per comprendere i meccanismi alla base della propagazione delle cellule tumorali, soprattutto in tumori particolarmente aggressivi come quello al polmone, è importante capire come le cellule del tumore riprogrammino il loro metabolismo per far fronte alle elevate richieste nutrizionali. I ricercatori hanno osservato che uno specifico RNA è capace di legare l'enzima metabolico SHMT a livello del citoplasma cellulare, controllandone la funzione enzimatica e regolando al contempo l'espressione della forma dello stesso enzima che si trova nel mitocondrio, la centrale energetica della cellula.


La ricerca coordinata dal Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, in collaborazione con il Cnr, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Irccs San Raffaele Pisana, suggerisce l’herpes come fattore di rischio per l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Lo studio, che apre la strada a nuove strategie terapeutiche e preventive, è pubblicato sulla rivista PLoS Pathogens
Le fastidiose vescicole provocate sulle labbra dal virus herpes simplex 1 (HSV-1), che di solito si presentano ripetutamente nel corso della vita, finora non erano mai state associate alla comparsa di patologie neurodegenerative. In particolare, poco o nulla si sapeva dei danni che le numerose recidive di tale infezione possono generare a carico del cervello.

Un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori italiani coordinato da Anna Teresa Palamara del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, nei laboratori affiliati all’Istituto Pasteur Italia, in collaborazione con l’Istituto di Farmacologia traslazionale del Cnr di Roma (Giovanna De Chiara), l’Università Cattolica-Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs (Claudio Grassi) e l’Irccs San Raffaele Pisana, ha messo in luce sperimentalmente, per la prima volta, che il virus herpes simplex può contribuire all’insorgenza dell’Alzheimer. La ricerca, finanziata da fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca (PRIN 2015) e pubblicata sulla rivista PLoS Pathogens, ha aggiunto un importante tassello al filone di ricerca che da anni punta a chiarire il ruolo degli agenti microbici nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

Quattro dipartimenti della Sapienza hanno sperimentato per la prima volta l’applicazione del campo magnetico sui muscoli di pazienti affetti da Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), evidenziando gli effetti positivi della stimolazione. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa fortemente invalidante che colpisce le cellule nervose preposte al controllo dei muscoli, compromettendo i movimenti della muscolatura volontaria. Il target principale degli studi pregressi sono stati i motoneuroni, la cui degenerazione porta all’atrofia muscolare.

Un nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports (Nature Publishing Group), è il risultato della collaborazione di un team interdisciplinare della Sapienza, composto da quattro Dipartimenti (afferenti agli ambiti della biologia molecolare di base, alla anatomia patologica, alla fisiologia, alla clinica) e ha adoperato un approccio traslazionale con metodi differenti, impiegando per la prima volta campi magnetici molto intensi per la stimolazione muscolare, con l’obiettivo di migliorare la funzionalità dei muscoli e rallentarne il declino.

Con la rivoluzionaria tecnica della microscopia elettronica criogenica, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli della Sapienza e del laboratorio IIT@Sapienza, ha osservato che il meccanismo con cui le cellule incorporano il ferro è lo stesso che i virus usano per infettarle. I risultati, pubblicati su Nature Communications, aprono la strada allo sviluppo di farmaci di precisione contro virus e tumori

Il team di ricerca guidato da Beatrice Vallone e Alberto Boffi del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli in collaborazione con il laboratorio IIT @Sapienza, ha osservato per la prima volta la struttura del complesso formato dalla proteina ferritina e il suo recettore cellulare (CD17). L’analisi della struttura del complesso ferritina-recettoreha rivelato un importante meccanismo biologico fino a oggi sconosciuto, ovvero il processo con cui il ferro entra nelle cellule. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Nature Communications, non solo ampliano lo scenario delle conoscenze scientifiche di base, ma hanno anche ricadute pratiche di rilievo.

 

 

Il rischio di dipendenza da altre droghe non è relativo alla tipologia di sigarette, tradizionali o elettroniche contenenti la stessa dose di nicotina, poiché esse aumentano comunque la gratificazione indotta dal Δ9-tetraidrocannabinolo (THC), il principio attivo della marijuana, e quindi ne facilitano l’uso. Lo dice uno studio dell’Istituto di neuroscienze del Cnr pubblicato su European Neuropsychopharmacology, che dà importanti suggerimenti sui meccanismi molecolari alla base di questo effetto

 

Il tabagismo rappresenta indubbiamente un grande problema di sanità pubblica, essendo uno dei maggiori fattori di rischio prevenibile per lo sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, inoltre, l’uso del tabacco può determinare l’insorgenza di disturbi mentali, comportamentali e fisici tipici delle dipendenze. Studi epidemiologici hanno peraltro mostrato che il consumo di tabacco è predittivo per il futuro consumo di altre droghe come cannabis e cocaina. Le sigarette elettroniche contenenti nicotina sono proposte come sostituto per diminuire l'uso delle sigarette convenzionali e gli effetti nocivi del tabacco combusto, ma ancora non è chiaro se l’eventuale beneficio sia estendibile a tutti gli effetti del fumo di tabacco. Ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Cecilia Gotti e Mariaelvina Sala, associato) in collaborazione con colleghi del Dipartimento Biometra delle Università degli Studi di Milano (Milena Moretti e Paola Viani, Francesco Clementi) e di Modena-Reggio Emilia (Michele Zoli) e ai ricercatori finanziati dalla Fondazione Zardi-Gori (Braida Daniela e Luisa Ponzoni)   hanno cercato di chiarire questo aspetto con un lavoro riportato nella rivista European Neuropsychopharmacology: ‘Increased sensitivity to Δ9-THC-induced rewarding effects after seven-week exposure to electronic and tobacco cigarettes in mice’.

“Tabacco e marijuana sono le sostanze usate più comunemente dagli adolescenti a scopo ricreativo, spesso in associazione tra loro, e la frequenza dell’uso della seconda è associata alla dipendenza da nicotina, la principale sostanza d’abuso presente nel tabacco. Inoltre, il lavoro sperimentale dei coniugi Eric (già vincitore del premio Nobel) e Denise Kandel del Department of Neuroscience, della Columbia University NY, ha posto le basi molecolari per capire come la nicotina possa abbassare la soglia per la dipendenza da altre sostanze, come marijuana e cocaina (cosiddetto effetto gateway)”, premette Cecilia Gotti dell’Istituto di neuroscienze del Cnr.

Cuore artificiale “wireless” senza cavi né batterie esterne: i primi pazienti al mondo impiantati in Kazakistan da equipe internazionale ha partecipato Massimo Massetti, Direttore Area Cardiologica Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS
I risultati della sperimentazione clinica appena pubblicati sulla rivista americana “Journal of Heart and Lung Transplantation”. Il dispositivo è risultato sicuro, con riduzione del rischio di infezioni,ha un’autonomia di circa otto ore. Tra alcuni mesi dovrebbe approdare in Italia.
L’expertise di un ricercatore e medico della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica in prima linea in una sperimentazione clinica unica al mondo che ha visto protagonisti due pazienti in Kazakistan ai quali è stato impiantato un cuore artificiale parziale (VAD) che si ricarica in modo “wireless” (senza fili) attraverso una cintura indossabile, che invia la corrente al dispositivo dentro il torace del malato. I pazienti hanno 51 e 24 anni e soffrivano di una insufficienza cardiaca terminale.

 

Massimo Massetti, Direttore Area Cardiologica Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS

 

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