Quando incontriamo una persona per la prima volta è difficile stabilire se possiamo fidarci o meno. Per farci un’impressione, anche lo sguardo gioca il suo ruolo. Infatti, spesso ci convinciamo di comprendere emozioni e intenzioni della persona incontrata semplicemente guardandola negli occhi. E studiandone, per esempio, quanto sono dilatate le pupille.

È su questo aspetto che si è concentrata la ricerca sperimentale condotta da due ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, Marco Brambilla e Marco Biella, in collaborazione con Mariska Kret, ricercatrice dell’Università di Leiden, in Olanda. L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Cognition and Emotion con il titolo Looking into your eyes: Observed pupil size influences approach-avoidance responses (DOI: 10.1080/02699931.2018.1472554). Dal momento che le variazioni nella dilatazione delle pupille sono perlopiù automatiche e inconsce, spesso riteniamo che tali variazioni possano indicare caratteristiche più profonde degli individui con cui interagiamo e che non siano solo la risposta a diverse intensità luminose. I ricercatori hanno perciò voluto verificare se semplici variazioni nel diametro pupillare delle persone che incontriamo siano in grado di influenzare risposte comportamentali diverse.

In particolare, se le persone con un’elevata dilatazione pupillare siano percepite come attraenti, calorose e amichevoli. E al contrario, se le persone con le pupille contratte siano percepite fredde, poco attraenti e inaffidabili. Per effettuare la ricerca, sono stati coinvolti cinquanta studenti ai quali è stato chiesto di svolgere un compito in laboratorio. Nello specifico, i partecipanti sono stati invitati a visualizzare sullo schermo di un computer 96 volti di persone sconosciute, con diversi livelli di dilatazione pupillare.

 

Usare le leve sociali per spronare i bambini all’attività fisica. È quanto emerge da uno studio cui ha partecipato una ricercatrice del Cnr-Istc, pubblicato su Nature Human Behaviour e condotto dal Jrc della Commissione europea. Le femmine sono più stimolate dalle migliori amiche, i maschi da gioco in squadre

 

Secondo l’International Association for the Study of Obesity, in Europa un bambino su tre è obeso o sovrappeso. Ma qual è il modo migliore per motivare i giovani a fare più attività fisica, che aiuta a dimagrire e a prevenire le malattie associate alla sedentarietà? Un recente studio di cui è coautrice Eugenia Polizzi, ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc), ha esaminato l'impatto di meccanismi sociali come la reciprocità e la cooperazione di gruppo sul motivare bambini di 9-11 anni a praticare più sport. Il lavoro, pubblicato su Nature Human Behaviour, è coordinato dal Joint Research Center della Commissione europea in collaborazione con l’Università di Cambridge.

A 350 bambini di 15 scuole elementari italiane è stato chiesto di indossare quotidianamente per sette settimane un accelerometro che permette di registrare i movimenti del corpo. L’attività fisica rilevata veniva trasformata in punti, che alla fine dello studio potevano essere scambiati con premi, assegnati in base all’attività svolta dal bambino (incentivi individuali), oppure a quella dei loro migliori amici e collettivamente all’interno di squadre (incentivi sociali). In queste ultime due condizioni, più i loro amici si muovevano, più i bambini ricevevano punti.



Cinque pasti al giorno sotto il segno dell’equilibrio e della varietà. A colazione, pranzo, cena e spuntini, nel piatto dei più piccoli devono esserci tutti i nutrienti: carboidrati, fibre, proteine, grassi, vitamine e sali minerali, da combinare in percentuale variabile a seconda dei momenti della giornata. Senza rinunciare al gusto e alla convivialità. Sono gli ingredienti della corretta giornata alimentare secondo gli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, descritta nel nuovo numero del magazine digitale ‘A Scuola di Salute’, realizzato dall’Istituto Bambino Gesù per la Salute del Bambino e dell’Adolescente e diretto dal prof. Alberto Ugazio.


I temi dell’educazione alimentare e della prevenzione del sovrappeso saranno al centro dell’Obesity Day, iniziativa promossa da ADI (Associazione di Dietetica e Nutrizione Clinica italiana) per mercoledì 10 ottobre.
Per l’occasione, al Bambino Gesù, sede di Roma-San Paolo, tra le altre iniziative, medici e nutrizionisti forniranno indicazioni sui corretti stili di vita: non solo sana alimentazione, ma anche attività sportive e
movimento all’aria aperta. Il sovrappeso è un problema che oggi riguarda il 23% dei bambini. Il 9% è obeso. Il 2% gravemente obeso. I dati di Okkio alla Salute, il sistema di sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità, indicano che la giornata alimentare non è osservata con la giusta attenzione. Seguendo alcune indicazioni la strada della corretta alimentazione può essere imboccata fin da piccoli. «In questo contesto - spiega il prof. Alberto Ugazio - sono state attivate campagne di sensibilizzazione rivolte a personale sanitario, famiglie, scuola, media e industrie alimentari. Quest’ultime, in particolare, hanno migliorato le qualità nutrizionali dei loro prodotti contenendo la quantità di zuccheri, grassi saturi, sodio e calorie e innalzando il contenuto di fibre. Per migliorare lo stato nutrizionale di bambini e ragazzi vanno osservate alcune regole: recuperare l’abitudine familiare a fare una prima colazione completa, sperimentare merende varie, con preferenza per quelle a base di frutta, trasformare il pasto a scuola in un momento di educazione alimentare, fare movimento spontaneo e organizzato e valorizzare il momento della cena in famiglia, che dev’essere vissuto come un’esperienza conviviale positiva».

Fare colazione, sempre. E’ un pasto irrinunciabile: consente di rendere al meglio sotto l’aspetto mentale e fisico, ma il 33% dei bambini fa una prima colazione inadeguata, mentre l’8% la salta addirittura per mancanza di tempo o di appetito. Per costruire la colazione perfetta con l’apporto di tutti i nutrienti - dicono gli esperti - si può cominciare con pane e miele, o marmellata, oppure con cioccolato spalmabile. In alternativa pancake, cereali, biscotti, fette biscottate o prodotti da forno. Il tutto abbinato ad una tazza di latte, yogurt bianco o bevande vegetali e da una porzione di frutta fresca.

 

L'Organizzazione Mondiale della Sanita' indica nell'inattivita' fisica il quarto piu' importante fattore di rischio di mortalita' nel mondo e il maggiore fattore di rischio per le malattie non trasmissibili, quali le patologie cardiovascolari, i tumori e il diabete. Cosi' in una nota stampa l'AME, Associazione Medici Endocrinologi.

Ma, d'altra parte, anche il concetto 'sport e salute' e' un azzardo e un po' piu' complicato di quando possa apparire.

Dall'ultimo report del Ministero della Salute dei controlli effettuati nel 2017 su giovani e sport amatoriali emerge che non c'e' sport che sfugga al doping inteso come uso di un farmaco o di una pratica medica non a scopo terapeutico ma per migliorare il rendimento psicofisico. Sempre il Ministero rileva che le sostanze piu' utilizzate sono gli agenti anabolizzanti (48,3%), stimolanti (17,2%), corticosteroidi (8,6%) e diuretici e agenti mascheranti (8,6%). Sono quindi gli ormoni che vengono impiegati, prevalentemente, 'quale aiutino'; e non e' a caso visto che ormoni e sport sono collegati in linea diretta attraverso il sistema endocrino: l'esercizio fisico rappresenta un potente modulatore della funzionalita' del sistema endocrino.

Per chi pratica sport professionistico il controllo dell'assetto ormonale e' la premessa per poter intraprendere un'attivita' sportiva che abbia l'obiettivo di portare a risultati agonistici ai massimi livelli. Lo staff medico dei campioni sa come far funzionale al meglio 'la macchina corpo', salvaguardando salute, benessere e prestazioni, anche se non pochi sono i casi di doping. Ma cosa succede a chi fa sport a livello amatoriale e dilettantistico? Davvero lo sport e' salute? Come deve essere praticato lo sport affinche' rientri nella pratica e nello stile di vita raccomandato? Che dimensioni ha il mercato delle sostanze dopanti e quali rischi per la salute? Quali conseguenze sulla salute quando lo sport diventa un'ossessione? Di questi temi si e' parlato a Verona in occasione di un convegno 'Ormoni, metabolismo e sport', promosso da AME, Associazione Medici Endocrinologi, dal CONI e la Federazione Medico Sportiva sotto la guida scientifica di Roberto Castello, direttore di Medicina Generale ed Endocrinologia AOUI, Verona e di Paolo Cannas, medico ospedaliero e medico sportivo della squadra di Basket A2 di Verona.


Saranno realizzati nell’ambito del progetto europeo WASP coordinato dall’Università di Pisa


Prodotti di uso comune come bende, pannolini o cerotti che acquistano nuove funzionalità e diventano capaci di monitorare i nostri parametri biomedici come ad esempio Ph, umidità o glucosio, con in più il vantaggio di essere ecocompatibili. E’ questa la sfida di WASP, un progetto di ricerca europeo che inizierà nel 2019 e terminerà nel 2022, che ha appunto l’obiettivo di rendere “intelligenti” questo genere di oggetti di uso quotidiano, a partire dallo studio dei prototipi sino alla progettazione industriale su larga scala.


Coordinato dall’Università di Pisa, WASP unisce una serie di partner scientifici (le università di Manchester, di Roma Tor Vergata, l’Institut Català de Nanociència i Nanotecnologia e l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne) e industriali quali Quantavis, uno spin-off dell’Ateneo pisano, ed Essity, una compagnia leader a livello mondiale nel settore dell'igiene e della salute conosciuta per marchi popolarissimi come i fazzolettini “Tempo”.
Uno degli aspetti innovativi del progetto WASP – acronimo che sta per Wearable Applications enabled by electronics Systems on Paper - è infatti proprio nella carta sulla quale saranno stampati dispositivi elettronici e circuiti.
“Puntiamo a rivoluzionare l'elettronica flessibile e indossabile – spiega il professore Gianluca Fiori del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell’Università di Pisa - sviluppando una nuova tecnologia per la stampa di dispositivi elettronici e circuiti su carta, che è un substrato flessibile, pieghevole, a basso costo, biodegradabile, facilmente ottenibile in natura e compatibile con la produzione industriale su larga scala”.

 

Non solo epatite C. La salute del fegato e' minacciata anche dal grasso, quello che si annida a livello della pancia e che si va a depositare proprio all'interno di questo organo vitale. Una nuova sfida per la salute del fegato, legata all'incremento dell'obesita', che si somma a quella non ancora del tutto risolta rappresentata dall'epatite C.

Il cosiddetto 'fegato grasso', infatti, e' la porta d'ingresso per lo sviluppo della steatoepatite non alcolica (NASH), malattia grave che puo' danneggiare irrimediabilmente il fegato.

Delle nuove sfide e di come affrontarle hanno parlato medici, associazioni pazienti e istituzioni riuniti al convegno 'Dopo l'HCV, le nuove emergenze per la salute del fegato', promosso da Gilead Sciences, che si e' svolto a Roma. Perche' per agire in maniera efficace contro le malattie epatiche e' necessario l'impegno congiunto di tutti e la capacita' di garantire l'accesso alle cure anche alle popolazioni che ne sono ancora escluse.

NASH, LA NUOVA SFIDA - In Italia piu' di un terzo della popolazione adulta (35,3%) e' in sovrappeso, mentre una persona su dieci e' obesa (9,8%). Risultato: complessivamente, il 45,1% dei soggetti sopra i 18 anni pesa troppo. A questo fenomeno si lega l'aumento della steatosi epatica (NAFLD), l'accumulo di grasso nel fegato o 'fegato grasso', che viene calcolato colpisca il 25-30% della popolazione. "Data la crescente percentuale di persone obese in Italia, tra cui anche bambini, anche la prevalenza della NAFLD sta crescendo e, dal punto di vista delle patologie del fegato, rappresenta ora e soprattutto in futuro una nuova sfida da vincere", lo ha detto Salvatore Petta, segretario dell'Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF). L'accumulo di grasso, infatti, puo' progredire provocando l'infiammazione del fegato, la steatoepatite non alcolica (NASH), detta cosi' perche' non associata al consumo di alcol. Una condizione che colpisce il 2-3% della popolazione e che a sua volta porta allo sviluppo di fibrosi, cirrosi e infine epatocarcinoma.

 

 

Appuntamento a Filadelfia - il 24 ottobre - per celebrare la sesta edizione della World Polio Day. Un evento che quest'anno si svolge nell'ambito di uno storico anniversario: quello della Global Polio Eradication Initiative (Gpei), lanciata 30 anni fa, nel 1988, alla Convention del Rotary a Filadelfia. All'epoca, nel 1988, quando l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (Oms) entro' a far parte della Gpei, approvando una risoluzione specifica, la malattia paralizzava dieci bambini ogni 15 minuti, in quasi tutti i paesi del mondo. Oggi, grazie alle estese campagne di vaccinazione- l'unica arma che rende la malattia evitabile- e ai sistemi di sorveglianza, pochi casi di polio sono riportati nel mondo. Tuttavia, tre paesi non hanno mai smesso di registrare casi di poliomielite, rimangono cioe' endemici: Afghanistan, Nigeria e Pakistan.

LA MALATTIA - La poliomielite, e' una patologia infettiva, acuta, molto contagiosa, determinata da un virus (poliovirus) che colpisce le cellule neurali, inducendo una paralisi (paralisi flaccida acuta) che, nei casi piu' gravi, puo' divenire totale. Esistono tre forme di poliomielite paralitica: la forma spinale e' la forma piu' comune e si caratterizza per una paralisi asimmetrica che interessa principalmente le gambe. La forma bulbare causa debolezza muscolare di quei muscoli che sono innervati dai nervi cranici. La forma bulbo-spinale e' una combinazione delle prime due. Descritta nel 1789, la poliomielite e' stata registrata per la prima volta in forma epidemica nell'Europa di inizio XIX secolo e poco dopo negli Stati Uniti. Non esistono cure, se non trattamenti sintomatici che possono solo in parte minimizzare gli effetti della malattia. L'unica strada per evitare potenziali conseguenze e' la prevenzione tramite vaccinazione. In Italia, nel 1958, furono notificati oltre otto mila casi di poliomielite. Nel nostro paese la vaccinazione antipolio e' obbligatoria dal 1966 e l'ultimo caso endemico si e' verificato nel 1982. Nel 2001, l'Italia e tutta la Regione Oms Europa sono state definite polio-free.

 

Una ricerca del Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell'Università di Pisa e dell’Università del Lussemburgo apre nuove prospettive sullo studio del Parkinson grazie a tecniche innovative di coltura degli organoidi. La ricerca consentirà anche di arrivare a ridurre la sperimentazione farmacologica su cavie animali


Negli ultimi anni le tecniche di coltura in tre dimensioni di cellule staminali hanno visto dei progressi consistenti. Gli “organoidi”, i mini-organi così formati dalla struttura tridimensionale e dalle staminali che vi proliferano, forniscono un modello di come si sviluppa e vive un organo umano, imitandone struttura e funzionalità. Un risultato potenzialmente rivoluzionario per lo studio di alcune malattie, ma anche per i test farmacologici.

Questi modelli di organi hanno però dei limiti, principalmente dovuti alla difficoltà di creare ambienti che garantiscano a lungo la sopravvivenza delle cellule. Le cellule staminali infatti vi proliferano per un certo tempo, dando luogo agli stessi tipo cellulari che generano in vivo, ma poi, mancando nutrienti fondamentali nel suo interno, l’organoide muore. Dai laboratori del centro di ricerca dell’Università di Pisa “E.Piaggio” e dell’Università del Lussemburgo arrivano però nuove scoperte, che permetteranno agli organoidi di restare vitali, rendendoli modelli scientifici validi per lo studio di malattie come il Parkinson.

«La nostra ricerca – spiega Arti Ahluwalia, direttrice del Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell’Università di Pisa - ha dimostrato che è possibile ingegnerizzare ambienti di crescita degli organoidi nei quali il flusso di ossigeno e nutrienti svolge una funzione di mantenimento delle condizioni vitali. In particolare, abbiamo testato questo metodo sull’organoide del mesencefalo: attraverso l’uso della tecnologia fluidica e modelli computazionali, mostriamo che le cellule all'interno dei mini organi, quando stimolate da un flusso, hanno una maggiore vitalità e si differenziano in maniera più efficace in neuroni dopaminergici, che sono importantissimi per il buon funzionamento del cervello. Infatti, la morte dei neuroni dopaminergici è una caratteristica del morbo di Parkinson. Inoltre, la sinergia di modelli computazionali e osservazioni al microscopio ci hanno permesso di individuare una soglia critica per la vitalità delle cellule, che ci permetterà di ottimizzare ulteriormente il protocollo di generazione di questi cervelli in vitro».


La mancanza di questa proteina fa prevalere le fibre muscolari che si contraggono lentamente su quelle a contrazione più rapida. Gli animali che ne sono sprovvisti hanno maggior resistenza all’affaticamento ed un maggiore dispendio energetico, con conseguenze sul metabolismo. Ad indicarlo uno studio dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Cnr pubblicato su Scientific Reports

Uno studio dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibcn) ha dimostrato per la prima volta come l’assenza di ciclina D3, proteina che presiede e regola il ciclo cellulare, sia in grado di influenzare la fisiologia dei muscoli. In particolare, oltre alla sua fondamentale funzione di controllo della proliferazione delle cellule muscolari, la proteina svolge un ruolo cruciale nella regolazione dell’espressione di geni selettivi per specifiche fibre muscolari. Lo studio è pubblicato su Scientific Reports.

“Gli animali che mancano del tutto della ciclina D3 presentano un aumento significativo di fibre muscolari che si contraggono lentamente, cioè quelle specializzate nel lavoro muscolare di tipo aerobico e resistenti all’affaticamento. Le fibre di questo tipo consentono di sostenere attività e sforzi duraturi e prolungati nel tempo, come una corsa su lunghe distanze. L’assenza della proteina permette a queste fibre di ‘occupare il posto’ di quelle che si contraggono rapidamente, specializzate invece nel lavoro muscolare ad alta intensità e forza ma bassa resistenza alla fatica”, spiega Roberto Coccurello del Cnr-Ibcn.


Dopo i 50 anni una donna su tre e un uomo su cinque sono destinati a subire delle fratture a causa della fragilita' ossea, e il numero di fratture odierno- una ogni tre secondi nel mondo- e' destinato ad aumentare vertiginosamente, molto piu' di quanto stia crescendo l'aspettativa di vita. Sono solo alcuni dei dati presentati oggi a Roma in occasione della Giornata Mondiale dell'Osteoporosi, che si celebra ogni anno il 20 ottobre, e contenuti nel Report "Ossa spezzate, vite spezzate: un piano d'azione per superare l'emergenza delle fratture da fragilita' in Italia" elaborato dalla International Osteoporosis Foundation (Iof) e sostenuto dalla Fondazione Italiana per la Ricerca sulle Malattie dell'Osso (Firmo), dalla Societa' Italiana dell'Osteoporosi del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (Siommms) e dalla Societa' Italiana di Ortopedia e Traumatologia (Siot). La presentazione del Report e' stata l'occasione per fare il punto sulla situazione attuale nel nostro Paese e mettere a fuoco le prospettive di cura di una condizione che troppi ritengono, a torto, un'inevitabile condanna della terza eta', ma che ha invece soluzioni mediche esistenti e praticabili. In particolare, il Report ha evidenziato il peso nascosto, ma molto gravoso, delle fratture da fragilita' in Italia.

I risultati, che fanno parte di un piu' ampio rapporto europeo elaborato da Iof, stimano che nel 2017 le spese sanitarie associate a fratture da fragilita' abbiano gravato sul Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) per 9,4 miliardi di euro, una cifra che silenziosamente minaccia di paralizzare l'intero sistema sanitario italiano. "Attualmente in Italia la percentuale di persone che hanno 65 anni o piu' e' stimata intorno al 23%, ma tale cifra e' destinata ad aumentare con l'incremento dell'eta' della popolazione italiana- afferma la Prof.ssa Maria Luisa Brandi, Presidente di Firmo e Ordinario di Endocrinologia presso l'Universita' di Firenze- Di conseguenza anche l'incidenza di condizioni croniche, come l'osteoporosi, e' destinata a crescere, portando a un aumento esponenziale delle fratture da fragilita' causate dell'osteoporosi".

 

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