Dopo il periodo di interruzione, dovuto al Covid-19, la ripresa dell’attività fisica espone a maggior rischio di infortuni. Le regole per non compromettere muscoli e articolazioni, stilate da uno dei massimi specialisti in traumatologia e consulente di atleti professionisti.


Brescia, 15 luglio 2020 – Dopo mesi di lock-down, l’attività fisica all’aperto è ripresa a pieno ritmo. Ma la cautela è d’obbligo; il rischio di andare incontro ad infortuni è infatti proprio dietro l’angolo, poiché “dopo un periodo di interruzione sia chi pratica sport con regolarità da anni, che chi ha cominciato da poco, perde l’elasticità muscolare tendinea, la forza e subisce una riduzione della propriocezione articolare”. A spiegarlo è il Prof. Francesco Benazzo, ortopedico di fama internazionale, dal mese di marzo nell’equipe della Poliambulanza di Brescia, noto per la sua specializzazione in ambito sportivo, Consulente della Federazione italiana di Atletica leggera e delle squadre di vari club calcistici, dal 2014 Fondatore e Presidente del Co.R.S.A (Consorzio Universitario Pavese, per la Riabilitazione Sportiva degli Atleti). Il Professore invita alla gradualità nella ripresa dell’attività fisica e stila un decalogo delle regole che è bene seguire a tutela della propria salute.

Pubblicato sulla rivista “Cancer Discovery” lo studio che suggerisce come aggredire clinicamente i tumori con la mutazione G12C del gene KRAS utilizzando farmaci contro il Recettore del Fattore di Crescita Epidermico

 È stato pubblicato, sulla rivista scientifica Cancer Discovery, lo studio dal titolo “EGFR blockade reverts resistance to KRASG12C inhibition in colorectal cancer”, condotto da un team internazionale di esperti guidato da Alberto Bardelli, direttore del Laboratorio di Oncologia Molecolare all’IRCCS Candiolo e docente del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e coordinato da Sandra Misale, dottorata dell’Università di Torino, e attualmente ricercatrice associata al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. Il team ha esaminato su modelli cellulari gli effetti di AMG510, un farmaco sperimentale contro il cancro che agisce da inibitore del gene KRAS G12C.


Un team di ricerca internazionale con un forte contributo della Sapienza ha sviluppato un sistema sintetico che permette di studiare in vivo il meccanismo di aggregazione delle proteine nelle cellule. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Chemical Biology, apre nuove strade alla comprensione di un meccanismo che, se non funziona correttamente, può causare l’insorgenza di gravi patologie
Le cellule sono alla base della vita di qualunque organismo vivente. Il loro corretto funzionamento si basa su una precisa organizzazione interna dello spazio, tramite la quale le proteine e gli acidi nucleici sono in grado di svolgere efficacemente il proprio compito.

Fino a pochi anni fa si credeva che l’organizzazione interna delle cellule fosse dovuta unicamente alla presenza di alcuni organelli separati dal resto del citoplasma da membrane. Recentemente è stato invece scoperto che esiste un certo numero di organelli, detti condensati biomolecolari, che sono sprovvisti di membrana e svolgono un ruolo importante nell’omeostasi cellulare, poiché sono in grado di adattare la propria struttura e funzione a variazioni dell’ambiente interno ed esterno alla cellula stessa. Inoltre, i meccanismi alla base della formazione di questi organelli, composti principalmente da proteine e acidi nucleici, sembrano essere coinvolti anche nella patogenesi di malattie come l’Alzheimer, la SLA e la demenza frontotemporale, tutte patologie causate da un’aggregazione anomala di proteine.


Il virus ha attaccato la Lombardia con un “assalto multiplo e concentrico”. Sono almeno 2 i ceppi circolanti (lineages) da metà gennaio: a rivelarlo uno studio promosso da Fondazione Cariplo e realizzato dai ricercatori dell’Ospedale Niguarda di Milano e del Policlinico San Matteo di Pavia. L’analisi fornisce importanti indicazioni per chi dovrà lavorare sul vaccino e sulle cure in futuro; anche per questo motivo, i dati sono stati messi a disposizione della comunità scientifica internazionale.

Sono stati presentati questa mattina i risultati dello studio promosso e sostenuto da Fondazione Cariplo condotto dai ricercatori della ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano e della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.

Si tratta dello studio più ampio condotto sino ad oggi sul sequenziamento del virus SARS-CoV-2 in una stessa area geografica, che fotografa quanto è accaduto dall’inizio dell’anno attraverso un approccio scientifico “evidence-based”. Sono state analizzate le sequenze genomiche virali da circa 350 pazienti, provenienti da aree diverse della Lombardia.

Quando il "mal di testa" è invalidante


L’emicrania e le cefalee muscolo-tensive sono due patologie estremamente comuni ed altamente invalidanti, la cui presenza influisce molto negativamente sulla qualità di vita dei pazienti affetti. Il dolore può essere continuo o pulsante, localizzato o generalizzato a tutta la testa, con eventuali irradiazioni al collo, alle spalle e (raramente) alle braccia, con presenza di nausea o vomito, fastidio alla luce, suoni, odori e al movimento.

I pazienti colpiti sono costretti ad assumere notevoli quantità di medicinali con, spesso, fenomeni di sovraccumulo ed effetti collaterali sgradevoli.
Recenti teorie relative all’insorgenza dell’emicrania e delle cefalee muscolo-tensive hanno confermato come queste, in molti casi, siano strettamente correlate all’irritazione di alcuni nervi superficiali, localizzati a livello della fronte o dello scalpo, compressi da piccoli vasi o muscoli circostanti, e che questi “punti scatenanti” (trigger points) possano essere eliminati mediante un intervento chirurgico mininvasivo.

 

Con l’arrivo dell’estate può capitare di essere punti da una vespa o da un’ape, di essere morsi da un tafano o da una vipera, di imbattersi nei tentacoli di una medusa o di mettere un piede su una tracina. Cosa fare per un soccorso corretto e immediato?

Ne parliamo con Valerio Pravettoni, medico allergologo del Centro di riferimento per la prevenzione e la diagnosi dell’allergia al veleno di imenotteri del Policlinico di Milano.

√ Puntura di vespe, calabroni, api e bombi

- Cosa sapere?

La reazione alla puntura degli imenotteri, cioè vespe, calabroni, api e bombi, è molto soggettiva poiché dipende dalla risposta immunitaria della singola persona. Quando ci pungono questi insetti iniettano con il loro pungiglione una certa quantità di veleno* che il nostro organismo riconosce come estranea e cerca, per così dire, di combatterla per eliminarla.

In base alla sensibilità individuale i sintomi possono essere diversi: si va da normali manifestazioni locali (reazione cutanea) al coinvolgimento di tutto l’organismo (reazione sistemica). Questo spiega il motivo per cui in alcune persone la puntura di una vespa provoca solo un po’ di dolore e un leggero fastidio nella sede di puntura che passa nel giro di poche ore; mentre in altre, la stessa puntura può causare reazioni più gravi che in alcuni casi possono portare anche a morte.


Hanno tutti e 3 meno di un anno di vita e già hanno in comune qualcosa di grande. Sono 3 bimbi a cui il destino ha riservato due complicazioni insieme: quella di nascere con una malformazione polmonare congenita, e quella di aver bisogno di cure durante la pandemia da Covid-19. Per fortuna si tratta di 3 storie a lieto fine: perché i piccoli, due maschi e una femmina, sono stati tutti operati con successo dai chirurghi pediatrici del Policlinico di Milano, vero e proprio punto di riferimento per questo tipo di patologie.


Le malformazioni polmonari congenite sono anomalie dello sviluppo dei polmoni che in genere interessano un solo lobo o parte di esso, ma che più raramente possono coinvolgere porzioni più ampie o addirittura entrambi i polmoni. In queste malformazioni possono formarsi cisti di varie dimensioni che bloccano la respirazione, oppure può succedere che una porzione dell'organo non riceva l'aria e quindi non funzioni correttamente; altre volte ancora, una parte del polmone si espande così tanto che 'schiaccia' ciò che lo circonda, impedendo il respiro.

 


Ricreare le complesse interazioni molecolari e cellulari che avvengono durante la rigenerazione del muscolo, alterate nelle distrofie e durante l’invecchiamento. È l’obiettivo di RENOIR (REcreating the ideal Niche: environmental control Of cell Identity in Regenerating and diseased muscles), il progetto finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del bando Horizon2020, MSCA - Innovative training networks.

Il progetto - che ha ricevuto un finanziamento di quasi tre milioni e mezzo di euro, di cui oltre 350mila destinati a Milano-Bicocca - è coordinato da Silvia Brunelli, docente di Biologia applicata del dipartimento di Medicina e chirurgia dell’Ateneo milanese, e si fonda su un approccio multidisciplinare che vede il coinvolgimento di accademici e industriali, esperti nel campo della rigenerazione muscolare, delle cellule staminali e dell’invecchiamento, provenienti da sei paesi europei ed extra-europei.

Una task force di esperti in diversi ambiti, dalla biologia all’ingegneria, proverà a scoprire i meccanismi molecolari che controllano l’identità cellulare e la loro interazione durante il processo di rimodellamento muscolare. Per riuscirci, il team di RENOIR sarà impegnato anche nella generazione di dispositivi innovativi e sistemi di coltura 3D di cellule staminali muscolari, vascolari e immunitarie, nonché nella sperimentazione di approcci terapeutici che sfruttano nuovi biomateriali semi-sintetici, come gli hydrogels associati a collagene o fibrinogeno.

 


Intervento straordinario preparato in oltre un anno di studio e in più fasi chirurgiche. Le bambine, giunte a Roma dal Centrafrica, erano craniopaghe totali, una tra le più rare e complesse forme di fusione cranica e cerebrale. Avevano in comune le ossa dell’area posteriore del cranio e il sistema venoso. Ora stanno bene.


Separate con successo all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù due gemelline siamesi centrafricane unite per la testa. È il primo caso in Italia - e probabilmente l’unico al mondo (in letteratura non sono descritte operazioni simili) - di intervento riuscito su una coppia di ‘craniopagi totali posteriori’, una tra le più rare e complesse forme di fusione a livello cranico e cerebrale. Posizionate nuca contro nuca, avevano in comune la scatola cranica e gran parte del sistema venoso. Oltre un anno di preparazione e di studio con l’ausilio di sistemi di imaging avanzato e di simulazione chirurgica, culminato in tre interventi delicatissimi. L’ultimo, la separazione definitiva, il 5 giugno scorso, con un’operazione di 18 ore e l’impegno di oltre 30 persone tra medici e infermieri. A un mese di distanza le bambine stanno bene, hanno appena compiuto 2 anni e sono ricoverate nel reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale della Santa Sede in due lettini vicini, una accanto all’altra, insieme alla loro mamma.


L’INCONTRO NELL’OSPEDALE DEL PAPA A BANGUI
Nel luglio del 2018 la Presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc, era in missione in Centrafrica, nella capitale Bangui, per seguire i lavori di ampliamento della struttura pediatrica voluta da Papa Francesco. È lì che incontra le due gemelline appena nate e decide di farsene carico, portandole a Roma, per dare loro maggiori possibilità di sopravvivenza. «Quando si incontrano vite che possono essere salvate, va fatto. Non possiamo e non dobbiamo voltare lo sguardo dall’altra parte» ha detto la presidente Enoc oggi durante la conferenza stampa di presentazione dell’intervento. Ervina e Prefina erano venute alla luce pochi giorni prima, il 29 giugno, nel centro medico di Mbaiki, un villaggio a 100 km da Bangui. Nessuna indagine prenatale: la mamma Ermine e i medici scoprono che si tratta di una coppia di gemelle siamesi solo al momento del parto cesareo. Il piccolo centro sanitario, però, non è attrezzato per prendersene cura, così
la famiglia viene trasferita nella capitale centrafricana.


L’ARRIVO AL BAMBINO GESU’ DI ROMA
La mamma e le gemelline arrivano in Italia il 10 settembre 2018 nell’ambito delle Attività Umanitarie Internazionali dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede. Dopo qualche mese trascorso al Bambino Gesù di Palidoro, dove iniziano il percorso di neuroriabilitazione, le piccole vengono trasferite nel reparto di Neurochirurgia al Gianicolo per gli studi sulla fattibilità delle procedure di separazione. Le prime indagini confermano che le gemelline godono di buona salute generale, i parametri neurologici e clinici sono nella norma. C’è però una differenza di pressione arteriosa: il cuore di una delle bambine lavora di più per mantenere l’equilibrio fisiologico degli organi di entrambe, compreso il loro cervello.


UNITE MA DIVERSE
Ervina e Prefina sono unite per la regione parietale e occipitale del cranio, vale a dire un’ampia superficie della parte posteriore della testa che comprende la nuca. Hanno in comune ossa craniche e pelle; a livello più profondo, condividono la falce e il tentorio (membrane fibrose che separano i due emisferi cerebrali e questi dal cervelletto) insieme a gran parte del sistema venoso (la rete di vasi deputata al trasporto del sangue utilizzato dal cervello verso il cuore per essere riossigenato) che ha rappresentato la sfida più difficile per l’équipe di Neurochirurgia del Bambino Gesù nella pianificazione degli interventi. Per questa particolare conformazione, le piccole rientrano nella rarissima categoria di gemelli siamesi craniopagi “totali”, uniti, cioè, sia a livello cranico che cerebrale. Tante cose in comune, ma
non la personalità, diversa e distinta: Prefina giocherellona e vivace, Ervina più seria e osservatrice. Per farle conoscere,e riconoscere, anche attraverso il contatto visivo prima della separazione, nell’ambito del percorso riabilitativo viene utilizzato un sistema di specchi.


UNO STUDIO DURATO PIU’ DI UN ANNO
Il caso di Ervina e Prefina è difficilissimo. Per farle sopravvivere, da separate, bisogna studiare ogni aspetto, pianificare il minimo dettaglio. Con questo obiettivo, si forma un gruppo multidisciplinare composto da neurochirurghi, anestesisti, neuroradiologi, chirurghi plastici, neuroriabilitatori, ingegneri, infermieri di differenti aree specialistiche e fisioterapisti. Viene coinvolto il Comitato Etico che condivide un percorso terapeutico che possa dare a entrambe le bambine le stesse chance di qualità della vita. Sulla base dell’esperienza maturata con i precedenti casi di siamesi separati con successo, l’équipe del Bambino Gesù mette a punto il programma. Nel corso dei mesi anche le gemelline vengono preparate alla separazione: con la neuroriabilitazione raggiungono un livello di sviluppo cognitivo e motorio analogo a quello delle loro coetanee; con l’ausilio di numerosi sistemi posturali, che le aiutano a trascorrere le giornate nella migliore posizione possibile, affrontano le complesse fasi del trattamento; con il sistema di specchi imparano a riconoscere il volto e le espressioni dell’altra e a stabilire una relazione visiva.


Prima di procedere con le fasi chirurgiche, il complesso caso delle gemelline di Bangui viene presentato e discusso anche a livello internazionale, a Nuova Delhi, in India, dove a febbraio 2019 si è tenuta la prima conferenza mondiale nel campo della chirurgia dei gemelli siamesi. Nella storia dell’Ospedale è il quarto caso di separazione di siamesi: nel 2017 le gemelline algerine unite per il torace e l’addome (gemelle toraco-onfalopaghe) e le piccole burundesi, unite per la zona sacrale (gemelle pigopaghe). Negli anni 80, invece, la prima operazione del genere su due maschietti uniti sempre per il torace e l’addome.


I TRE PASSI DELLA SEPARAZIONE
La grande sfida, per il buon esito della separazione, è il sistema venoso cerebrale, la rete di vasi sanguigni (seni venosi) che le gemelle condividono in più punti. La chirurgia sulle strutture venose del cervello è complessa e il rischio di emorragie e ischemie è elevato. L’équipe di Neurochirurgia del Bambino Gesù decide di procedere per fasi: tre interventi delicatissimi per ricostruire progressivamente due sistemi venosi indipendenti, in grado di contenere il carico di sangue che viaggia dal cervello al cuore.
Il primo intervento. Nel maggio 2019 le gemelline entrano in sala operatoria per iniziare a dare forma alle nuove strutture venose autonome: i neurochirurghi separano una parte del tentorio e il primo dei due seni trasversi in comune che saranno assegnati a ciascuna delle bambine; poi, con materiali biocompatibili ricostruiscono una membrana in grado di mantenere divise le strutture cerebrali prima della separazione definitiva.
A giugno 2019 il secondo intervento. L’équipe, coadiuvata dal gruppo di anestesia, separa i seni sagittali superiori (la metà posteriore dei canali venosi che corrono tra i due emisferi cerebrali) e il torculare di Erofilo, ovvero il punto di congiunzione dei seni venosi del cervello dove confluisce tutto il sangue che va al cuore. È una fase cruciale: lo spazio operatorio è di pochi millimetri e i neurochirurghi procedono con la guida del neuronavigatore. Il 5 giugno 2020, un anno dopo, è il momento della separazione definitiva. Le bambine sono cresciute, la nuova architettura delle vene si è consolidata e funziona; la porzione di pelle necessaria a coprire il cranio di ciascuna delle piccole è stata ampliata con gli espansori posizionati qualche mese prima con una serie di interventi di chirurgia plastica e si può dare il via all’ultima fase. In sala operatoria è pronta un’équipe di oltre 30 persone tra medici, chirurghi e infermieri. L’intervento dura 18 ore: prima vengono rimossi gli espansori cutanei, poi viene separato il secondo seno trasverso e il relativo tentorio; vengono infine divise le ossa del cranio che tengono unite le due bambine. Una volta separate le gemelline, l’operazione prosegue in due diverse camere operatorie, con due équipe distinte, per ricostruire la membrana che riveste il cervello (dura madre), rimodellare le ossa della scatola cranica e ricreare il rivestimento cutaneo. «È stato un momento emozionante, un’esperienza fantastica, irripetibile» sottolinea Carlo Marras, responsabile di
Neurochirurgia del Bambino Gesù e dell’équipe che ha seguito le gemelline. «Era un obiettivo molto ambizioso e abbiamo fatto di tutto per raggiungerlo, con passione, ottimismo e gioia. Condividendo ogni passaggio, studiando insieme ogni minimo dettaglio».


IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA: RICOSTRUZIONI IN 3D E NEURONAVIGATORE
Ogni fase del percorso delle gemelline è stata studiata e pianificata con l’ausilio dei sistemi di imaging avanzato disponibili in Ospedale: TAC e risonanze magnetiche tridimensionali, angiografia 4D, software per la ricostruzione 3D, neurosimulatore. Con queste tecnologie, combinate tra loro, è stata ricreata in 3D la scatola cranica delle bambine con tutti i dettagli anatomici interni, compresa la rete vascolare. Contemporaneamente, è stato possibile valutare la funzionalità delle singole strutture del cervello, quantificare il flusso sanguigno e fare una previsione di come avrebbe
funzionato il nuovo sistema dopo gli interventi. In sala operatoria sono stati utilizzati i più avanzati sistemi di neuronavigazione, strumenti particolarmente utili in casi così complessi e rari che indicano al chirurgo, con precisione millimetrica, la posizione delle strutture più delicate.


IL FUTURO DI ERVINA E PREFINA
A un mese dalla separazione definitiva, le gemelline stanno bene. Pochi giorni di monitoraggio in terapia intensiva e poi il ritorno in reparto, nella stanza con due lettini singoli. Il 29 giugno hanno  festeggiato 2 anni, guardandosi negli occhi, muovendo le manine a ritmo di musica, in braccio alla mamma. Hanno superato operazioni difficilissime; le ferite impiegheranno del tempo a rimarginarsi; il rischio di infezione è ancora presente. Proseguono il programma di neuroriabilitazione e per alcuni mesi dovranno indossare un casco protettivo. Ma i controlli post-operatori indicano che il cervello è integro. Il sistema ricreato funziona, il flusso di sangue si è adattato al nuovo percorso. Si trovano in una condizione - spiegano i medici del Dipartimento di Neuroscienze - che darà loro la possibilità di crescere regolarmente sia dal punto di vista motorio che cognitivo, e di condurre una vita normale, come tutte le bimbe della loro età. Commossa, durante la conferenza stampa di oggi, mamma Ermine ha ringraziato l’Ospedale e tutte le persone che si sono prese cura delle sue bambine: «Ervina e Prefina sono nate due volte. Se fossimo rimaste in Africa non so quale destino avrebbero avuto. Ora che sono separate e stanno bene vorrei che fossero battezzate da Papa Francesco che si è sempre preso cura dei bambini di Bangui. Le mie piccole ora possono crescere, studiare e diventare dei medici per salvare altri bambini».


CRANIOPAGI TOTALI POSTERIORI: SIAMESI RARI TRA I RARI
La nascita di una coppia di siamesi è un evento raro e, tra le varie tipologie, i gemelli uniti per la testa (craniopagi) sono i più rari: 1 su 2,5 milioni di nati vivi, 5 casi ogni 100.000 gemelli, soprattutto femmine. Nella letteratura scientifica sono descritte solo poche decine di casi. Il craniopago è definito ‘parziale’ quando il punto di contatto tra le due teste è limitato alle ossa e alla pelle, ‘totale’ quando la fusione coinvolge anche le strutture cerebrali e in particolare il sistema venoso. Anche tra i craniopagi totali ci sono differenze: i più “comuni” sono i gemelli uniti per la sommità del capo (craniopagi verticali), più rari quelli uniti per la nuca (craniopagi posteriori). Secondo i dati disponibili, fino a pochi anni fa il 40% dei craniopagi moriva alla nascita. Per il restante 60% l’attesa di vita non superava i 10 anni. Fino agli anni 60 i tentativi di separazione dei craniopagi totali avevano un tasso di mortalità vicino al 100%. Successivamente, con lo sviluppo tecnologico e con l’introduzione della chirurgia per fasi, sono aumentate sopravvivenza, attesa e qualità di vita. Negli ultimi 20 anni, in Europa, si ha notizia di due soli casi di craniopagi totali separati con successo: si tratta di due coppie di gemelli uniti per la sommità della testa (verticali) operati in più step a Londra. Nessun caso descritto in letteratura, invece, con le caratteristiche delle gemelline di Bangui, ovvero craniopaghe totali unite per la nuca (posteriori).


Dallo studio quasi decennale sulla storia clinica di un giovane paziente asintomatico, la scoperta di un meccanismo genetico ereditato dalla madre in grado di riattivare la produzione di distrofina e migliorare le condizioni dei pazienti. Il lavoro, coordinato dalla Sapienza con l’Istituto italiano di tecnologia (IIT) e il Centre for Genomic Regulation (CRG) di Barcellona, e sostenuto da ERC Advanced Grants, Fondazione Telethon e Parent Project, è stato pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine.


Quando la ricerca incontra le persone, può portare a cambiamenti importanti. È il caso di un paziente affetto da una forma di distrofia muscolare di Duchenne inspiegabilmente lieve che, proprio per la sua condizione anomala, è stato seguito per anni da Irene Bozzoni e dal suo team del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza e dell’IIT, che lo aveva incontrato nel corso di una maratona Telethon nel 2011.

 

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