È stato premiato con il singolare premio Ig Nobel lo studio che indaga il senso di sé dei gemelli monozigoti 

Un team di ricercatori coordinato da Salvatore Aglioti, responsabile del Laboratorio di Neuroscienze sociali della Sapienza e della Fondazione Santa Lucia di Roma, insieme al Registro nazionale gemelli dell’Istituto superiore di sanità, ha esaminato la capacità dei gemelli monozigoti di distinguere il proprio volto da quello del gemello. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plos One, si è aggiudicato l’Ig Nobel, il singolare riconoscimento che viene attribuito ogni anno alle ricerche più stravaganti. La cerimonia di premiazione si è svolta il 14 settembre presso la Harvard University (Cambridge, Massachusetts, USA). A ritirare il premio, in rappresentanza del gruppo di ricerca, Ilaria Bufalari e Matteo Martini.  Il presupposto della ricerca è la capacità di riconoscersi allo specchio, capacità specifica dell’uomo e di poche altre specie animali, che è alla base di abilità cognitive più complesse, come l’autoconsapevolezza. I gemelli monozigoti rappresentano un’interessante eccezione in questo contesto, in quanto il loro viso è pressoché identico a quello del fratello gemello.

 

 

Lo studio descrive le caratteristiche della malattia, ne indica le terapie e il rischio di complicanze

Esiste una forma di diabete autoimmune a lenta evoluzione che si manifesta dopo i 30 anni e che viene definito LADA (acronimo dall’inglese: Latent Autoimmune Diabetes in Adults). Ancora poche sono le conoscenze riguardo questa patologia, che non richiede un trattamento insulinico per almeno sei mesi dalla diagnosi e che comunemente viene diagnosticata come diabete di tipo 2. Infatti, nella fase iniziale, il diabete LADA è caratterizzato da una minore compromissione del metabolismo glucidico rispetto al diabete di tipo 1 classico, ma, come dimostrato da studi epidemiologici condotti negli ultimi dieci anni, la prevalenza di tale forma di diabete è sovrapponibile a quella del diabete tipo 1 ad insorgenza giovanile.

 
 

Lo studio osserva, attraverso i cambiamenti di temperatura della pelle, la relazione tra stimoli emotivi e categorizzazione sociale

I ricercatori del Dipartimento di Psicologia e della Fondazione Santa Lucia hanno condotto una ricerca per studiare, attraverso i cambiamenti di temperatura della pelle, come, a seconda degli stimoli emozionali che riceviamo, siamo indotti a includere o escludere gli altri dalla nostra sfera sociale.
Il principio su cui si basa lo studio è che la temperatura della pelle è influenzata dal cambiamento dei muscoli e della microcircolazione, controllata dal sistema nervoso vegetativo (detto anche autonomico) la cui attività è largamente indipendente dalla volontà.
La ricerca, coordinata da Salvatore Maria Aglioti del Dipartimento di Psicologia della Sapienza, in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia, è pubblicata sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences. Per dimostrare l’associazione tra i cambiamenti di temperatura facciale e il modo in cui percepiamo chi ci sta attorno, i ricercatori hanno presentato ai partecipanti stimoli affettivi di cui erano più o meno consapevoli, detti rispettivamente stimoli supraliminali e subliminali.
Hanno quindi rilevato la reazione fisiologica provocata attraverso una termocamera, un dispositivo in grado di misurare con altissima sensibilità l’emissione di calore del corpo, attraverso sistemi avanzati di registrazione del segnale infrarosso detti functional Infrared Thermal Imaging (fITI).

 Un gruppo di ricerca ha osservato l'effetto proinfiammatorio del sale nelle cellule del sistema immunitario . L’eccessivo introito salino è sospettato da tempo di essere una delle possibili cause dell’aumentata incidenza delle malattie autoimmuni osservata negli ultimi anni, in quanto si è visto – in modelli animali – favorire l’attivazione di alcune cellule dotate di elevata attività infiammatoria (linfociti T-helper 17). Partendo da questo presupposto, un gruppo di ricerca diretto da Guido Valesini, del Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche, ha osservato la correlazione esistente fra l’apporto di sale nell’alimentazione e le malattie autoimmuni. Lo studio, appena pubblicato su Plos One, ha verificato come il sale contenuto nella dieta possa avere un effetto pro-infiammatorio nelle cellule del sistema immunitario di pazienti con artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico, due tra le malattie autoimmuni più frequenti.

“La febbre Chikungunya è generalmente benigna e guarisce spontaneamente” dichiarano Massimo Andreoni e Massimo Galli, rispettivamente Past President e Vice Presidente SIMIT. Le malattie già segnalate alle Autorità sanitarie nel 2015 nel Libro Bianco delle Malattie Infettive.

 

La SIMIT precisa quali sono le cause e le possibili conseguenza in merito ai recenti casi emersi a Trento e ad Anzio (in provincia di Roma) rispettivamente di malaria e di Chikungunya.

La morte di una bimba avvenuta nei giorni scorsi per malaria da Plasmodium falciparum ha suscitato grande emozione e comportato richieste di informazioni a vari infettivologi di SIMIT. “La ricostruzione dell’accaduto potrà derivare solo dal completamento dalle indagini epidemiologiche e di laboratorio in corso” spiega il Prof. Massimo Andreoni, Direttore U.O.C. Malattie infettive, Università di Tor Vergata e Past President SIMIT . “L’eccezionalità del caso, la complessità della materia e la volontà di fare chiarezza ed evitare possibili equivoci nell’interpretazione di quanto riportato dai mezzi di comunicazione ci portano tuttavia a ritenere utile precisare quanto segue” aggiunge il Prof. Massimo Galli, vicepresidente SIMIT e Ordinario di malattie Infettive presso l’Università di Milano:

  1. La malaria può essere trasmessa solo da un vettore (una zanzara del genere Anopheles), come accade nella stragrande maggioranza dei casi, o per scambio di siringa volontario tra tossicodipendenti(circostanza che non si verifica in Italia da molto tempo), o per incidente in ospedale (trasfusione, trapianto d’organo o altro tipo di incidente che comporti l’inoculazione del sangue di un paziente malarico in un’altra persona). Cinque specie di plasmodi (sulle oltre cento note) sono in grado di causare malaria nell’uomo. Le specie di Anopheles sono circa 430, di cui 30-40 possono trasmettere malaria. Ciascuna di esse è adattata a una specie di plasmodio o a una sottopopolazione nell’ambito di ciascuna specie.

Lo studio, condotto da Istituto di neuroscienze del Cnr e Ospedale San Raffaele di Milano, ha dimostrato la capacità di un nuovo vettore virale di superare la barriera emato-encefalica e diffondersi in tutto il cervello rilasciando il gene terapeutico e rallentando l’accumulo dei depositi tossici alla base della malattia. La ricerca, che apre la strada alla realizzazione di nuovi farmaci molecolari, è stata pubblicata su Molecular Therapy

 

Molte malattie neurodegenerative, come il Parkinson o la demenza a corpi di Lewy, colpiscono in modo diffuso le cellule cerebrali. Uno studio italiano dimostra la capacità inedita di un nuovo vettore virale di diffondersi e rilasciare un gene terapeutico in tutto il sistema nervoso centrale, un risultato fondamentale per lo sviluppo di terapie geniche contro queste patologie. Non solo: i ricercatori hanno testato la tecnica su modello sperimentale del Parkinson nel topo, riuscendo a ridurre i depositi tossici che causano la morte dei neuroni e a migliorare la salute degli animali. Il lavoro è coordinato da Vania Broccoli, ricercatore presso l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano e capo dell’unità di ricerca in Cellule Staminali e Neurogenesi dell’Irccs Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture d’eccellenza del Gruppo San Donato. Lo studio è stato pubblicato su Molecular Therapy del gruppo Cell.

Descritto per la prima volta il sistema che controlla la funzionalità delle proteine alterate in alcune patologie genetiche come fibrosi cistica o morbo di Gaucher. Lo studio, condotto su piante di Arabidopsis thaliana, è stato realizzato in collaborazione con gli Istituti di scienze delle produzioni alimentari e di cristallografia del Cnr ed è pubblicato su Pnas. La regolazione di questi enzimi potrebbe aprire la strada a nuove terapie

 

Per alcune malattie genetiche come fibrosi cistica o morbo di Gaucher, la speranza potrebbe arrivare dalla regolazione dell’enzima che controlla alcune proteine alterate in queste malattie. A sostenerlo uno studio a cui hanno partecipato l’Istituto di scienze delle produzioni alimentari (Ispa) unità di Lecce e l’Istituto di cristallografia sede di Bari (Ic) del Consiglio nazionale delle ricerche. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), è stato coordinato da Nicole Zitzmann e Pietro Roversi del Dipartimento di biochimica dell’Università di Oxford. “Circa il 20% delle proteine presenti nelle cellule eucariotiche (caratteristiche degli organismi multicellulari) sono glicoproteine, essenziali per molti processi vitali come la risposta immunitaria, la comunicazione cellulare e il metabolismo”, spiega Angelo Santino, ricercatore Ispa-Cnr. “La funzionalità delle glicoproteine dipende da un sofisticato sistema biologico di ‘controllo qualità’ che sovrintende al corretto ripiegamento e alla corretta destinazione finale delle proteine stesse nella cellula. Con questo studio abbiamo descritto per la prima volta la struttura completa di uno dei principali componenti di questo sistema di controllo, l’enzima Udp-glucosio glucosil transferasi (Uggt). Conoscendo la struttura dell’enzima sarà possibile individuare in futuro nuove molecole in grado di modularne l’attività”.

Lo studio, condotto da un team di ricercatori di Nanotec-Cnr e dell'Università Sapienza di Roma, è stato pubblicato sulla rivista Nature Communication

Molti batteri, come Escherichia coli, sono fantastici ‘nuotatori’, capaci di percorrere più di dieci volte la loro lunghezza in un secondo: approssimativamente, in proporzione, la stessa velocità di un ghepardo. Per muoversi, usano il ‘motore flagellare’, ruotando sottili filamenti elicoidali, i flagelli, a più di cento giri al secondo. Il motore flagellare è una sorta di motore ‘elettrico’, alimentato da un flusso di cariche che la cellula accumula costantemente nello spazio periplasmatico che ne circonda la membrana interna e il meccanismo con il quale i batteri ‘ricaricano le batterie’ prende il nome di respirazione e di solito richiede l'ossigeno. Nel 2000 è stata scoperta mediante la sequenziazione genetica di batteri in campioni di plancton una nuova proteina, la proteorodopsina, che si inserisce nella membrana cellulare, dove utilizza energia proveniente dalla luce per accumulare carica nella ‘batteria’ anche in assenza di ossigeno. Un team di ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Nanotec-Cnr) e del dipartimento di Fisica dell'Università Sapienza di Roma, grazie a uno studio pubblicato su Nature Communication, ha dimostrato che alcuni batteri geneticamente modificati e in grado di produrre proteorodopsina possono essere utilizzati come minuscoli propulsori in micromacchine invisibili all'occhio umano, la cui velocità di rotazione può essere finemente regolata con luce verde di intensità controllabile.

Il team internazionale guidato dai ricercatori dell’Igb-Cnr ha svelato l’importanza di questi metaboliti nel destino delle cellule staminali embrionali. La scoperta, pubblicata su Stem Cell Reports può portare a risvolti applicativi importanti in campo oncologico e nella medicina rigenerativa.

Vitamine e aminoacidi ricoprono un ruolo fondamentale nelle alterazioni epigenetiche, ossia nei meccanismi cellulari coinvolti nello sviluppo di malattie come il cancro. La scoperta, che promette risvolti applicativi in campo oncologico, arriva da un team internazionale coordinato dall’Istituto di genetica e biofisica 'A. Buzzati-Traverso' del Consiglio nazionale delle ricerche (Igb-Cnr) di Napoli, che ha coinvolto gli Istituti Cnr di chimica biomolecolare (Icb-Cnr) e di applicazioni del calcolo (Iac-Cnr), la Radboud University, Nijmegen (Olanda) e University of California, San Francisco (Usa). Lo studio è pubblicato sulla rivista Stem Cell Reports. “Abbiamo scoperto con sorpresa che nelle cellule staminali un ruolo chiave è svolto da due insospettabili attori denominati 'metaboliti' (molecole molto piccole indispensabili per la vita della cellula) che corrispondono alla Vitamina C e all’aminoacido L-Prolina”, spiega Gabriella Minchiotti, tra gli autori dello studio e ricercatrice Igb-Cnr. “Abbiamo dimostrato che le cellule staminali embrionali pluripotenti (ossia cellule staminali presenti nei primissimi stadi dello sviluppo), se trattate con Vitamina C acquisiscono uno stato più immaturo (primitivo), mentre se trattate con l’aminoacido L-Prolina danno luogo alla formazione di una cellula embrionale più matura (stato cosiddetto primed). Quindi Vitamina C e L-Prolina agiscono in maniera del tutto opposta sulle cellule staminali embrionali, determinando delle modifiche al DNA che non ne alterano la sequenza bensì il modo in cui viene letto e quindi la sua attività”.

 People are not the only ones suffering from the symptoms and problems of food intolerance and allergies. Other mammals, such as cats, dogs and horses, are affected as well. The Messerli Research Institute, a cooperation between Vetmeduni Vienna and the Medical University of Vienna, has now condensed the knowledge about human and animal food allergies and intolerances into a new European position paper. The paper highlights the strong similarities in animal and human symptoms and triggers of adverse food reactions. More importantly, the publication stresses the need for more comparative studies on the mechanisms and the diagnosis of food intolerance, and on formulating adequate measures. Diarrhea after a glass of milk, an itchy palate after eating apples, swelling in the face after consuming chicken eggs or a severe asthma attack due to peanut dust are all signs of a food intolerance or allergy. But these symptoms are not limited to us humans, because other mammals such as dogs, cats and horses may exhibit similar symptoms after feeding. The number of pets affected by food allergies and intolerances has even converged with that of humans.

 

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