Battere il tumore sul tempo con la biopsia liquida: nuovo studio su "Nature Medicine"

Ospedale Niguarda 10 Ago 2022

 

Lo studio interventistico “CHRONOS” per il carcinoma del colon-retto appena pubblicato su “Nature Medicine” dimostra ancora una volta come la medicina di precisione possa migliorare la qualità di vita dei pazienti. Per la prima volta i ricercatori hanno utilizzato la biopsia liquida come strumento di misurazione per capire il momento giusto in cui somministrare una seconda terapia a bersaglio molecolare a un paziente oncologico affetto da metastasi al colon-retto. Lo studio è coordinato dall'Ospedale Niguarda di Milano e dall'Istituto di Candiolo IRCCS, con la collaborazione dell’IFOM di Milano, dell’Università degli Studi di Torino e dell’Università degli Studi di Milano

La biopsia liquida è un esame che, a partire da un semplice prelievo di sangue (oppure in alcuni casi saliva o urina) permette di ottenere maggiori informazioni sul tumore di cui una persona è affetta. Sostanzialmente “va a caccia” delle cellule tumorali che circolano nel flusso sanguigno o del DNA che esse rilasciano. L’analisi di queste tracce molecolari fornisce informazioni preziose sul tumore e sul suo andamento, rilevando, ad esempio, la presenza di specifiche alterazioni del DNA del tumore che possono renderlo sensibile o resistente ai diversi trattamenti oncologici.


Nel trial clinico CHRONOS, pubblicato il 1° agosto 2002 sulla prestigiosa rivista Nature Medicine (Sartore-Bianchi A. et al, Nat Med 2022) i ricercatori dell'Ospedale Niguarda di Milano e dell'Istituto di Candiolo IRCCS (in collaborazione con IFOM di Milano, Università degli Studi di Torino e Università degli Studi di Milano) hanno integrato la biopsia liquida direttamente nel processo di decisione della terapia.


Per i pazienti affetti da tumore al colon-retto metastatico le aspettative di sopravvivenza e di miglioramento della qualità della vita dipendono dalla possibilità di rallentare la progressione tumorale grazie ad interventi terapeutici mirati. “In circa il 50% di questi tumori – spiega Salvatore Siena, professore all’Università di Milano e Direttore del Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’Ospedale Niguarda di Milano - viene somministrata una terapia a bersaglio molecolare rivolta contro il recettore di crescita EGFR. Sebbene la terapia risulti efficace, il paziente può sviluppare nel tempo resistenza al farmaco e la malattia progredisce”.
In questi casi è possibile somministrare di nuovo questa stessa terapia nel corso del programma di cura, quella che i clinici chiamano “rechallenge”. La difficoltà, tuttavia, sta nel capire quando avviare un rechallenge.


Nel nuovo studio i ricercatori propongono una strategia personalizzata che, tramite il monitoraggio dell’andamento della resistenza del paziente, consente di effettuare interventi più mirati e quindi più efficaci. “Abbiamo applicato il concetto di evoluzione tumorale della resistenza farmacologica alla selezione diretta della terapia, analizzando in tempo reale il DNA tumorale circolante alla ricerca di mutazioni di resistenza”- commenta Alberto Bardelli, professor Alberto Bardelli, professore all’Università di Torino e Direttore Scientifico di IFOM- “Nel tumore del colon, la resistenza ai farmaci anti-EGFR, che sono utilizzati come standard di terapia nella malattia avanzata, si associa all’insorgenza di cloni neoplastici che acquisiscono delle mutazioni dei geni RAS, BRAF ed EGFR che conferiscono un vantaggio selettivo di resistenza farmacologica, proprio come secondo il paradigma darwiniano”.

Nei pazienti ai quali poteva essere somministrata una terapia di rechallenge veniva effettuata una biopsia liquida per decidere il trattamento: qualora non vi fosse traccia delle mutazioni di resistenza veniva dato l’OK alla terapia con panitumumab. “Abbiamo osservato che frequentemente erano presenti plurime alterazioni geniche di resistenza, probabilmente insorte dopo la prima esposizione ai farmaci anti-EGFR e ancora in circolo”- spiega Andrea Sartore Bianchi, professore dell’Università degli Studi di Milano, Principal Investigator dello studio CHRONOS e Responsabile della Struttura Semplice di Oncologia Clinica Molecolare del Niguarda Cancer Center- “Applicando un concetto di “tolleranza molecolare zero”, abbiamo somministrato la terapia solo ai pazienti che presentavano una clearance completa di queste mutazioni e così facendo abbiamo ottenuto un tasso di risposte obiettive tumorali del 30% e un controllo di malattia oncologica del 63%. Questi dati rappresentano un passo avanti in situazioni cliniche dove le alternative terapeutiche sono spesso assenti, e questa strategia mirata migliora l’indice terapeutico di questo trattamento “chemo-free” per il carcinoma del colon-retto”.


Silvia Marsoni responsabile del laboratorio di Oncologia di Precisione di IFOM, che ha disegnato Chronos, conclude: “La cosa più importante che Chronos ha dimostrato è proprio l’impatto positivo della medicina di precisione sulla qualità della vita dei singoli individui. Avere uno strumento diagnostico che escluda trattamenti sicuramente inefficaci risparmia inutili tossicità e sofferenze. Non a caso il dogma della medicina è ‘primo non nuocere’. In Chronos abbiamo dimostrato che la biopsia liquida ci permette sia di ‘non nuocere’ che di dare beneficio. E che questa scelta è possibile paziente per paziente. Questa è la vera rivoluzione dell’oncologia di precisione”.


Nel complesso questo trial clinico rappresenta la prima integrazione della biopsia liquida all’iter di terapia in un tumore big killer come il carcinoma del colon-retto. Da una goccia di sangue è possibile decifrare la vulnerabilità a una terapia a bersaglio molecolare, e lo studio CHRONOS apre la strada a studi randomizzati che raccolgano questa sfida emergente nell’ambito della medicina personalizzata. Lo studio è stato reso possibile grazie a un finanziamento di Fondazione Piemontese per l’Oncologia IRCCS nel contesto di un finanziamento di ricerca AIRC 5x1000 e con il contributo di Fondazione Oncologia Niguarda e si è svolto nell’Oncologia dell’Ospedale Niguarda di Milano sotto la direzione del professor Salvatore Siena, che ha coordinato gli altri centri clinici partecipanti: l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l’Istituto Oncologico Veneto di Padova e l’Istituto di Candiolo IRCCS.

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