Uno studio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù insieme all’Università di Genova e alla University of Melbourne, apre importanti prospettive terapeutiche per le persone immunodepresse. La ricerca, sostenuta da AIRC, è stata pubblicata su Science Immunology.
Sembrano cellule sane e quindi si nascondono al sistema immunitario, invece sono infettate da un virus insidioso che può scatenare gravi infezioni nei pazienti immunodepressi. È il citomegalovirus, un patogeno molto diffuso contro il quale, però, l’organismo ha un’arma efficace: una particolare popolazione di linfociti T killer. Con speciali ‘sensori’, intercettano le cellule infette e le uccidono. Il meccanismo è stato scoperto dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù insieme all’Università di Genova e alla University of Melbourne. I risultati dello studio aprono nuove prospettive di cura per i pazienti con scarse difese immunitarie, con gravi infezioni virali (incluso il COVID-19) e anche con tumore. La ricerca, sostenuta da AIRC, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Science Immunology.


Immagini di immunofluorescenze di: un muscolo in rigenerazione (sinistra), di cellule adipose derivate dalle FAP in condizioni di controllo (centro) e di cellule muscolari derivate dalle FAP dopo inibizione di G9a/GLP (destra)


Uno studio dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) rivela come cambiare l’identità di una popolazione di cellule muscolari possa promuovere la rigenerazione dei muscoli distrofici. La ricerca, pubblicata su Science Advances, potrebbe portare a un approccio farmacologico per alcune patologie come la distrofia muscolare di Duchenne.

 Le cellule oggetto dello studio condotto dall’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) sono le progenitrici fibro-adipogeniche, note con l’acronimo FAP, e rappresentano l’arma a doppio taglio del muscolo scheletrico. Queste cellule, infatti, in condizioni fisiologiche rilasciano dei fattori che aiutano le cellule staminali muscolari alla rigenerazione del muscolo. Nel corso della degenerazione che si verifica nei tessuti affetti da distrofia muscolare di Duchenne invece, le FAP danno origine all’infiltrato adiposo e fibrotico che rimpiazza progressivamente il tessuto muscolare, rendendolo meno funzionale. La ricerca portata avanti dal gruppo di Chiara Mozzetta insieme alle biologhe Beatrice Biferali e Valeria Bianconi, prime autrici del lavoro, è stato pubblicato su Science Advances e realizzata col sostegno del programma Scientific Independence of young Researchers (SIR) del Ministero dell’istruzione, università e ricerca (Miur) e dell’AFM-Telethon.


Un gruppo di ricerca coordinato da studiosi dell’Università di Bologna ha messo a punto un sistema innovativo che, sfruttando l’effetto fotoacustico, potrebbe permettere non solo di identificare con maggiore precisione le cellule tumorali, ma anche di guidarne l’eliminazione.
Sfruttare l’effetto fotoacustico, che permette di trasformare l’energia luminosa in onde sonore, per identificare e colpire selettivamente le cellule tumorali. È la soluzione proposta da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Advanced Functional Materials, mostrano come si potrebbe utilizzare una particolare molecola a base di carbonio, chiamata “fullerene”, per creare uno strumento utile sia alla diagnosi sia alla terapia dei tumori. “Il fullerene è in grado di incrementare le potenzialità diagnostiche della microscopia fotoacustica, aumentandone in modo significativo la risoluzione spaziale, e questo sia che si stia guardando all’intero organo sia che l’osservazione riguardi un livello sub-cellulare”, spiega Matteo Calvaresi, professore al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamican”, che ha coordinato la ricerca. “Questo studio apre quindi alla possibilità di un impiego dell'effetto fotoacustico nella diagnostica medica che permetta di rilevare singole cellule tumorali attraverso nuovi mezzi di contrasto”.


Assistere a una violazione delle norme morali condivise inibisce i neuroniche controllano la lingua, in modo simile a quanto accade quando entriamo in contatto con un gusto spiacevole. Lo rivela una ricerca guidata da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università degli Studi di Messina, premiata con il “Best Paper Prize 2021” durante la XII International Scientific Conference on Neuroethics
Quando assistiamo ad un comportamento che ci indigna perché viola norme morali condivise il nostro cervello inibisce i neuroni che controllano il movimento della lingua, proprio come accade quando entriamo in contatto con un cattivo sapore. Lo ha scoperto un gruppo internazionale di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università degli Studi di Messina: pubblicato sulla rivista Social, Cognitive and Affective Neuroscience, lo studio è stato premiato con il “Best Paper Prize 2021” alla XII International Scientific Conference on Neuroethics.


Il Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'Università Statale di Milano e dell'Ospedale Sacco di Milano, in collaborazione con i ricercatori della Boston Children’s Hospital and Nephrology Division-Transplant Research Center-Brigham and Women’s Hospital and Harvard Medical School, ha condotto un importante studio dimostrando che SARS-CoV-2 induce insulinoresistenza e compromissione della funzione beta cellulare, con conseguente iperglicemia anche nella fase post-acuta dell’infezione. Il lavoro è stato pubblicato su Nature Metabolism.


Una ricerca sviluppata dall’ospedale Sacco e dall’Università Statale di Milano in collaborazione con i ricercatori del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'Università Statale di Milano e della Boston Children’s Hospital, Harvard Medical School e Brigham and Women’s Hospital, con Laura Montefusco, Moufida Ben Nasr and Francesca D’Addio come primi co-autori, ha dimostrato che i pazienti con infezione da SARSCoV2 hanno alterazioni del controllo glicometabolico al monitoraggio continuo della glicemia (CGM) associate ad alterazioni della resistenza insulinica e del secretoma periferico, che persistono anche dopo guarigione del COVID-19 (Long COVID-19). “Questo è il primo studio a dimostrare che SARS-CoV-2 induce insulino resistenza e deteriora la normale funzionalità β-cellulare. Queste alterazioni possono portare ad iperglicemia franca che persiste anche nella fase post-acuta.”, dice il Professor Paolo Fiorina, Professore Associato di Endocrinologia, Direttore del Centro Internazionale per il Diabete Tipo 1 (T1D) al Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi e Direttore della Unità di Endocrinologia della ASST Fatebenefratelli-Sacco, “in particolare la comprensione profonda dei meccanismi della malattia potrà facilitare la ricerca di nuove strategie terapeutiche per questa malattia devastante che ha un impatto così importante sulla nostra comunità”.


“Queste nuove evidenze hanno rivelato come si sviluppa il diabete correlato al COVID-19 e possono aiutare a scoprire il possibile meccanismo della malattia.” aggiunge il Professor Massimo Galli, Direttore di Malattie Infettive all’Ospedale Sacco, Università Statale di Milano. Gli studi precedenti avevano evidenziato finora l’esiguità delle prove sul fatto che SARS-CoV-2 abbia una azione diretta o indiretta sulla funzionalità β-cellulare. “I nostri risultati hanno confermato l’associazione di COVID-19 con una alterazione complessiva del profilo glicemico al CGM, del profilo ormonale e del profilo citochinico nei pazienti con COVID-19, che persiste anche molto tempo dopo l’insorgenza dei sintomi. Infatti, abbiamo riportato alterazioni glicometaboliche simili nei pazienti con infezione acuta e dopo remissione dal COVID19” dice il Professor Fiorina. “Sono davvero soddisfatto dei risultati ottenuti dal nostro Centro e dal modo in cui i nostri ricercatori perseguano instancabilmente nuovi modi per migliorare la vita delle persone affette da diabete” dice il Professor Gian Vincenzo Zuccotti, Direttore del Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi e Preside della Facoltà di Medicina, ed aggiunge: “Questa scoperta sottolinea anche l’importanza della ricerca per trovare soluzioni ai problemi clinici”. Il Professor Paolo Fiorina conclude ringraziando la Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi per aver reso possibile la ricerca e per il continuo supporto straordinario.


Ideata una metodica sensibile e rapida per identificare il virus nei tamponi nasofaringei. Lo studio - condotto dall'Istituto di scienze e tecnologie chimiche Giulio Natta del Cnr in collaborazione con l’Irccs Ospedale San Raffaele, l’Ospedale Luigi Sacco, l’Università di Milano e la Fondazione Mondino di Pavia - è stato pubblicato sulla rivista Sensors.
La metodologia attualmente utilizzata per la rilevazione clinica di SARS-CoV-2 ha una sensibilità e una specificità maggiori del 95%, che quando la carica virale è bassa potrebbe ridursi, dando origine a risultati falsi negativi, e richiede tra le 4 e 6 ore di lavoro dalla raccolta del campione all’analisi dei risultati. Il laboratorio di Chimica e tecnologia per le bioscienze (Ctb) dell'Istituto di scienze e tecnologie chimiche ‘Giulio Natta’ del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Scitec), in collaborazione con l’Irccs Ospedale San Raffaele, l’Ospedale Luigi Sacco, l’Università di Milano e la Fondazione Mondino di Pavia, ha realizzato CovidArray: un test basato, per la prima volta, sulla metodica microarray, in grado di rilevare la presenza di RNA virale di SARS-CoV-2 in tamponi nasofaringei e salivari. La ricerca è stata recentemente pubblicata sulla rivista Sensors.

 


L’Università di Pisa e l’Azienda Ospedaliera pisana nello studio che si è guadagnato la copertina del prestigioso “New England Journal of Medicine”.


Un team internazionale di medici e ricercatori ha dimostrato che grazie ad una particolare procedura chirurgica si possono ridurre sino al 42 per cento i rischi postoperatori di ictus ed embolia nei pazienti con fibrillazione atriale che si sottopongono ad interventi cardiochirurgici. Lo studio denominato “LAAOS III” si è appena guadagnato la copertina della prestigiosa rivista “New England Journal of Medicine” ed è stato presentato alla conferenza dell’American College of Cardiology 2021. Fra i promotori principali della ricerca c’è anche Andrea Colli, professore dell’Università di Pisa e direttore della Cardiochirurgia dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana.

 


Uno studio dell’Università degli Studi di Milano condotto all’Ospedale San Paolo documenta non solo la presenza del virus nelle aree cerebrali di controllo del respiro, ma anche, per la prima volta, che il virus viaggia tra cervello e polmone lungo il nervo vago. Lo studio è stato appena pubblicato su Journal of Neurology.


La presenza del virus SARS-CoV-2 è stata documentata non solo nelle aree cerebrali di controllo del respiro, ma anche, per la prima volta, è stato rilevato il suo percorso tra polmone e cervello lungo il nervo vago. Quest’ultimo, conosciuto anche come nervo pneumogastrico o XII paio dei nervi cranici, controlla diverse funzioni corporee, fra le quali quelle respiratorie attraverso l’innervazione del tessuto polmonare particolarmente a livello dei bronchi. Lo studio, appena pubblicato su Journal of Neurology, è frutto di una collaborazione fra anatomopatologi, neurologi e rianimatori del Dipartimento di Scienze della Salute della Statale di Milano, del Centro di ricerca “Aldo Ravelli” e dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano. Gaetano Bulfamante direttore della Cattedra di Anatomia Patologica e Genetica Medica, primo autore dell’articolo, spiega che “gli esami al microscopio documentano la presenza di neuroni danneggiati e contenenti il virus particolarmente concentrati nel bulbo o midollo allungato. Contestualmente abbiamo osservato una notevole attivazione delle cellule gliali che indica una risposta infiammatoria legata all’infezione. Il dato di estremo interesse è la presenza del virus Sars-CoV-2 nelle fibre del nervo vago che connettono appunto il bulbo al polmone”.

 


Un gruppo di ricercatori dell’Università Statale di Milano e del Policlinico di Milano, in collaborazione con l’Institute for Cancer Research dell’Oslo University Hospital, ha studiato un modello genetico di glioma e individuato nuovi geni che contribuiscono alla crescita tumorale. I risultati dello studio sono stati pubblicato sulla rivista Autophagy.

Nuovi bersagli genetici per contrastare la crescita tumorale dei gliomi, tra i più aggressivi tumori del cervello, sono stati scoperti da un gruppo di ricercatori, di cui fanno parte biologi cellulari e dello sviluppo. Il coordinamento dello studio è di Thomas Vaccari e Valentina Vaira, ricercatori dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con Helene Knævelsrud, principal investigator all’Institute for Cancer Research, Oslo University Hospital. I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC, Worldwide Cancer Research e Fondazione Cariplo, con il supporto dell’Università degli Studi di Milano, sono stati pubblicati sulla rivista Autophagy. Nel lavoro gli scienziati hanno ricreato le lesioni genetiche che sono alla base dello sviluppo del glioblastoma, tra i più aggressivi tumori cerebrali, nel moscerino della frutta Drosophila melanogaster.


Pubblicato su Progress in Neurobiology, lo studio del Cnr-In, del Sant’Anna e di UniPi evidenzia il possibile ruolo di un ormone, la serotonina, nel recupero post-ictus.

Dalla pluriennale collaborazione tra l’Istituto di neuroscienze dell’Area della ricerca di Pisa del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In), l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, nasce un nuovo studio traslazionale che punta a trasferire i risultati provenienti dalla ricerca di base alla pratica clinica e getta nuove basi per la terapia riabilitativa in seguito a ictus. Lo studio, pubblicato sulla rivista Progress in Neurobiology, ha testato l’efficacia di un approccio combinato tra riabilitazione robotica e modulazione della serotonina (il cosiddetto ormone della felicità) su un modello di ischemia cerebrale in corteccia motoria.

 

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