C’era una volta Sergio Leone, la grande mostra all’Ara Pacis per i 90 anni dalla nascita e i 30 dalla scomparsa del regista
Dal 17 dicembre Roma Capitale celebra il mito di uno dei maestri assoluti del cinema italiano con una mostra concepita e realizzata da La Cinémathèque Française e Cineteca di Bologna.
17 dicembre 2019 – 3 maggio 2020
Museo dell’Ara Pacis – Roma
C’era una volta Sergio Leone: è il titolo evocativo della grande mostra all’Ara Pacis, in programma fino al 3 maggio 2020, con cui Roma celebra, a 30 anni dalla morte e a 90 dalla sua nascita, uno dei miti assoluti del cinema italiano.
Promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, l’esposizione arriva in Italia dopo il successo dello scorso anno alla Cinémathèque Française di Parigi, istituzione co-produttrice dell’allestimento romano insieme alla Fondazione Cineteca di Bologna. La mostra è realizzata con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Istituto Luce – Cinecittà, Ministère de la culture (Francia), CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée, SIAE e grazie a Rai Teche, Leone Film Group, Unidis Jolly Film, Unione Sanitaria Internazionale, Romana Gruppi Elettrogeni Cinematografici. Digital Imaging Partner: Canon. Sponsor tecnici: Italiana Assicurazioni, Hotel Eden Roma, Bonaveri. L’ideazione è di Equa di Camilla Morabito e il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura.
Blood vessels can make you fat, and yet fit
Figure 1 Expression of fatty acid transporters in blood vessels. Fatty acid transporters (CD36; blue) in blood vessels (green), whose overlapping shown in yellow green, transverse around fat cells (red) under the skin.
Can obesity define health? It is a question for much debate. Still, obesity is generally classified into metabolically healthy obesity (MHO) and an unhealthy version of obesity. As we grow older, we tend to put on excess fat more around the waist than the hips and legs with aging, becoming more "apple-shaped" than "pear-shaped" and also at a greater risk of metabolic syndrome. As fat accumulates around our abdominal organs, instead of under the skin where most of our body fat usually sits, this visceral fat releases fatty acids and inflammatory substances directly into the liver, causing toxicity and insulin resistance. People with MHO, meanwhile are characterized by favorable health parameters, including high insulin sensitivity, no signs of hypertension, and less inflammation, and a healthier immune system.
Researchers develop a "quick and easy" Covid-19 test for population screening with simple means
Global endeavours to fight the Covid-19 pandemic heavily rely on accurate, fast and frequent tests for the coronavirus SARS-CoV-2 – “test, test, test”, as the World Health Organization (WHO) has bluntly put it. Around the globe, the prevailing approach to diagnose acute infections is based on real-time qPCR, a method that amplifies and detects viral nucleic acid molecules in samples obtained from nose and throat swabs. However, qPCR requires sophisticated and expensive equipment and specialist staff to operate it – crucial drawbacks for example in remote or low-resource settings.
Scientists from the Vienna BioCenter and collaborators have now pushed an established nucleic acid detection assay to a new level. The so-called “Loop-mediated isothermal amplification (RT-LAMP)”, first developed twenty years ago, is cheap, simple and quick – features that make it in principle an ideal alternative for routine SARS-CoV-2 detection. However, limited sensitivity and robustness have so far held back RT-LAMP-based assays from entering the center stage for SARS-CoV-2 diagnostics. The improvements introduced by the Viennese team overcome these challenges and make RT-LAMP a potential game-changer for population-scale screening approaches, especially in economically disadvantaged countries.
Ecosistemi a rischio in Antartide a causa delle microplastiche
Le prove in un recente studio su piccoli invertebrati del polo sud.
"Vi sono prove che le microplastiche abbiano raggiunto le regioni più remote del pianeta". Così si apre l'articolo pubblicato sulla rivista scientifica Royal Society Biology Letters del team di ricerca coordinato da Elisa Bergami e Ilaria Corsi dell'Università di Siena, che ha dato la prima evidenza di contaminazione da microplastiche in animali terrestri antartici.
Prima di questa osservazione "vi erano ancora dubbi sulla presenza della plastica nelle reti alimentari terrestri antartiche" – continuano gli autori dello studio. Per trovare una risposta, i ricercatori hanno mosso i primi passi da un pezzo di polistirolo ritrovato nel 2016 sulle coste dell'isola antartica di re Giorgio (Shetland del Sud), ricoperto di alghe, muschi e licheni. A nutrirsi di questa microflora è un piccolo invertebrato lungo un paio di millimetri, il Cryptopygus antarcticus (del gruppo dei Collemboli, componente centrale della catena alimentare del suolo in tutte le aree del pianeta). Le analisi sugli esemplari di Collemboli rinvenuti sul materiale plastico – effettuate con la tecnologia di imaging con spettroscopia infrarossa presso Elettra Sincrotrone Trieste, struttura partner di CERIC-ERIC – hanno permesso di identificare la presenza di tracce di polistirolo nell'intestino di questi organismi superando le limitazioni attuali per l'analisi di microinvertebrati del suolo.
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