La ricerca, coordinata da Ryan Park del Jet Propulsion Laboratory dalla NASA, ha sfruttato i dati collezionati dalla sonda Juno della NASA durante due recenti sorvoli ravvicinati della luna insieme ai dati storici della missione Galileo, la sonda della NASA che tra il 1995 e il 2003 ha esplorato il sistema di Giove.
"La combinazione dei dati acquisiti da Juno con quelli collezionati dalla sonda Galileo oltre 20 anni fa - spiega Daniele Durante, ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale - ha permesso di migliorare la stima della risposta mareale di Io, che fornisce indicazioni dirette della deformabilità della struttura interna della luna.”
Io è un satellite unico nel sistema di Giove grazie alla sua intensa attività vulcanica, che lo rende l'oggetto geologicamente più attivo del sistema solare. Per decenni si è creduto che l’enorme attrazione gravitazionale di Giove fosse sufficiente a creare un oceano di magma sotto la sua superficie, che alimentasse i suoi vulcani. Le misure di induzione magnetica condotte dalla sonda Galileo avevano infatti suggerito la presenza di un oceano di magma sotto la superficie di questa luna.
Questo scenario è stato però rivisto a seguito delle nuove osservazioni realizzate da Juno, la sonda che dal 2016 sta esplorando Giove e, più recentemente, le sue lune. Juno ha sorvolato per due volte Io a circa 1.500 chilometri di quota, raccogliendo dati del campo gravitazionale della luna molto accurati. I risultati dell’analisi mostrano una risposta gravitazionale della luna alle forze di marea piuttosto modesta.
“La risposta della luna alle forze di marea esercitate da Giove è risultata piuttosto bassa - afferma Luciano Iess, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale - indicazione dell’assenza di un oceano di magma vicino alla superficie e, piuttosto, della presenza di un mantello solido profondo al suo interno”.
Lo studio è stato pubblicato su Nature con il titolo “Io's tidal response precludes a shallow magma ocean”. Per Sapienza Università di Roma hanno partecipato Daniele Durante e Luciano Iess, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Bologna, Luis Gomez Casajus, Marco Zannoni, Andrea Magnanini e Paolo Tortora. Le attività di ricerca sono state realizzate nell’ambito di un accordo finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana.