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L'idrogel che supporta la crescita di cellule tumorali a lungo termine
03 Nov 2021 Scritto da Cnr-Nanotec, Università di Maastricht
Sviluppato un gel ad elevato contenuto di acqua, in grado di supportare la crescita a lungo termine di microtessuti del tumore colon-rettale. Lo studio, condotto dall’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce in collaborazione con l’Università di Maastricht, ha portato alla realizzazione di un modello tumorale in vitro che consentirà di muovere passi significativi verso la comprensione della complessità del tumore e lo sviluppo di trattamenti specifici per il paziente. La ricerca è stata pubblicata su Carbohydrate Polymers.
Un team di ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) di Lecce, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Maastricht, ha condotto una ricerca che ha portato allo sviluppo di un gel ad elevato contenuto di acqua, quindi altamente biomimetico, in grado di cambiare il suo stato fisico grazie all’aumento della temperatura dell’ambiente in cui si trova e che consente di studiare la crescita e lo sviluppo di tessuti tumorali in vitro con possibili applicazioni nel campo della sperimentazione dei farmaci e della medicina personalizzata.
In particolare, i ricercatori hanno dimostrato come ottenere, attraverso la combinazione di due polimeri di origine naturale: il chitosano (proveniente dall’esoscheletro del gambero) e la pectina (un componente della mela), un gel che si presenta in forma di soluzione a temperatura ambiente e che passa allo stato di gel aumentando con l’aumentare della temperatura al valore fisiologico di 37 gradi. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Carbohydrate Polymers del gruppo Elsevier.
Le caratteristiche metaboliche di ogni individuo dipendono dalla comunità in cui è inserito
03 Nov 2021 Scritto da Università di Pisa
Uno studio dell’Università di Pisa, in collaborazione con Università di Padova e EPFL (Svizzera), riscrive una delle leggi fondamentali della biologia, la legge di Kleiber.
Uno studio pubblicato di recente sulla rivista PNAS consente un avanzamento deciso negli studi sul metabolismo degli esseri viventi, con ricadute importantissime in campi che vanno dalla medicina personalizzata fino alla gestione delle risorse di un dato ambiente per il sostegno alimentare dei suoi abitanti, un tema che da anni sta occupando istituzioni nazionali e internazionali per l’obiettivo “fame zero” dell’Agenda 2030.
Il team di ricerca della professoressa Arti Ahluwalia, docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e direttrice del Centro di Ricerca “E. Piaggio” dell’Ateneo pisano, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Padova e di EPFL (la Scuola politecnica federale di Losanna), ha dimostrato che la legge di Kleiber, una delle leggi fondamentali più note delle biologia, non è assoluta, ma varia a seconda di come è composta la popolazione di individui che prendiamo in considerazione.
Individuata una specifica forma di autismo caratterizzata da “neuroni con troppe sinapsi”
02 Nov 2021 Scritto da Università di PisaLo studio dei ricercatori dell’Ateneo e dell’IIT di Rovereto su Nature Communications
Lo spettro autistico è caratterizzato da una forte eterogeneità, con sintomi e disfunzioni a livello neurologico di diversa gravità e impatto. Ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’Università di Pisa, hanno individuato una forma di autismo causata da una specifica alterazione neuronale: la presenza di un eccessivo numero di sinapsi nella corteccia cerebrale. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications, potrà guidare lo sviluppo di futuri trattamenti farmacologici mirati a ripristinare queste alterazioni.
Il gruppo di ricerca vede coinvolti Alessandro Gozzi, Coordinatore del Centro di Neuroscienze e Sistemi Cognitivi (CNCS) di IIT a Rovereto, Michael Lombardo, ricercatore senior di IIT, e il Prof. Massimo Pasqualetti dell’Università di Pisa. Gozzi e Lombardo conducono le proprie ricerche sul cervello anche grazie a finanziamenti da parte dell’European Research Council (ERC). Nello specifico i ricercatori hanno individuato una disfunzione che riguarda i neuroni di un’area cerebrale deputata alla comunicazione, i quali presentano un eccessivo numero di sinapsi, ovvero quelle microscopiche protuberanze che servono per inviare e ricevere segnali tra neuroni.
L’intolleranza al lattosio è meno diffusa di quanto si creda. Tuttavia, la frequente incidenza di questo disturbo nella popolazione deriva spesso da test non validati scientificamente, eseguiti anche in ambienti sanitari, dalla moda vegana e da varie leggende metropolitane. Purtroppo, questo comporta spesso un’inutile esclusione di latte e derivati dalla dieta. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, questa intolleranza interessa circa il 40% degli italiani, ma ci sono milioni di persone che si ritengono intolleranti e per questo eliminano latte e latticini dalla dieta ingiustificatamente.
L’Osservatorio nutrizionale Grana Padano ha realizzato un nuovo studio su un campione di 6.000 persone da cui emerge che il consumo di latte e derivati è calato del 5% in due anni, nonostante l’industria alimentare abbia aumentato l’offerta di alimenti delattosati. Il 31% non consuma nessun tipo di latte, il 77% non utilizza il latte intero, il 41% non utilizza latte parzialmente scremato. A ciò si aggiunge che lo yogurt non è consumato dal 30% degli intervistati e che il 48% assume meno di 100 g di formaggio fresco o 50 g di stagionato alla settimana (come consigliato invece dalla dieta mediterranea).
Uno studio preclinico coordinato dalla prof.ssa Ghiglieri – Università San Raffaele Roma evidenzia che la Stimolazione magnetica transcranica nel parkinsonismo sperimentale migliora i sintomi motori e contrasta le alterazioni dei neuroni striatali
27 Ott 2021 Scritto da Ospedale San Raffaele
Uno studio preclinico, utilizzando un modello animale di malattia di Parkinson, ha dimostrato che con una singola esposizione della durata di pochi minuti di stimolazione magnetica transcranica (TMS) è possibile migliorare i sintomi motori e contrastare le alterazioni dei neuroni striatali che mostrano una riduzione delle loro connessioni, tipica della fase sintomatica iniziale della malattia.
Lo studio, coordinato dalla professoressa Veronica Ghiglieri, dell’Università Telematica San Raffaele Roma, ha utilizzato tecniche di elettrofisiologia e immunoistochimica e per la prima volta ha osservato una risposta di tipo strutturale alla stimolazione con TMS, tecnica non invasiva già clinicamente sperimentata per diverse patologie, per la quale erano stati riportati finora solo effetti nella funzione.
La ricerca, finanziata da un grant del “Fresco Parkinson Institute to New York University School of Medicine and The Marlene and Paolo Fresco Institute for Parkinson's and Movement Disorders” e da un grant del Ministero della Salute, ha individuato un meccanismo responsabile degli effetti positivi della stimolazione: si tratta del contributo funzionale di una specifica subunità del recettore NMDA, che conferisce ai neuroni parzialmente danneggiati una nuova capacità di rispondere agli stimoli. Questa tipologia specifica di subunità si trova prevalentemente nelle prime fasi dello sviluppo, in neuroni giovani, ricchi di connessioni immature ma dall’elevata capacità plastica. Il gruppo ha evidenziato che, sebbene i soggetti trattati fossero in età adulta, in seguito al trattamento con TMS, si poteva osservare un aumento significativo di nuove connessioni tipiche della fase giovanile.
Orologio biologico interno e ritmi circadiani: uno studio approfondito dei microorgani fornisce preziose indicazioni sul loro funzionamento
27 Ott 2021 Scritto da Università degli studi di Padova
Lo studio è stato condotto dal Prof. Nicola Elvassore (VIMM e Università di Padova), dalla Dott.ssa Onelia Gagliano e dal Prof. Joseph Takahashi e si è avvalso della lunga e consolidata collaborazione tra Università di Padova e l’UT Southwestern di Dallas, oltre che del supporto della Fondazione Umberto Veronesi.
La nostra vita è scandita da un orologio interno, un vero e proprio "timer" che adatta con estrema precisone la nostra fisiologia alle diverse fasi della giornata, regolando funzioni come i livelli ormonali, il sonno, la temperatura corporea e il metabolismo. L’equilibrio tra l’orologio biologico interno e le abitudini quotidiane, come l’orario dei pasti e l’esercizio fisico, garantisce la salute dello stato fisico e psichico di una persona, di contro un disallineamento aumenta il rischio di insorgenza di malattie, come diabete e tumori.
Mi scordo perché mangio
26 Ott 2021 Scritto da Istituto di chimica biomolecolare, Cnr-Icb; Istituto di biochimica e biologia cellulare, Cnr-Ibbc
La salute metabolica richiede anche una buona memoria. Uno studio coordinato dall’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr di Pozzuoli descrive un’alterazione funzionale del circuito neuronale che regola la memoria episodica in modello murino di soggetti obesi. Ovvero, una relazione tra neurogenesi e obesità che può influenzare i processi decisionali anche legati alle scelte alimentari sin dall’età giovanile. Lo studio è pubblicato su Nature Communications.
Il cervello dei mammiferi continua a generare neuroni per tutta la vita, a partire dalle cellule staminali neurali, in due aree specifiche chiamate nicchie neurogene: il giro dentato dell'ippocampo e l'area subventricolare. La produzione di neuroni influenza in particolare la memoria episodica, ovvero la capacità di ricordare eventi personali e, di conseguenza, di pianificare azioni individuali future. La memoria episodica è immagazzinata nell’ippocampo, dove risiedono circuiti molto conservati nella scala evolutiva.
Anticorpi monoclonali e varianti Covid: studio UniTS su Scientific Reports
22 Ott 2021 Scritto da Università degli studi di TriesteUna ricerca del team dell’Università di Trieste pubblicata sulla rivista scientifica Scientific Reports ha studiato gli effetti delle varianti circolanti di SARS-CoV-2 sull’interazione con degli anticorpi monoclonali utilizzati in terapia. Attraverso l’uso di tecniche di simulazione molecolare sono stati identificati i residui aminoacidici del virus che, una volta mutati, possono causare una drastica diminuzione dell’efficacia terapeutica di questi agenti.
Possibili applicazioni nella previsione dell’efficacia e nello sviluppo di nuove terapie antivirali.
Uno studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste pubblicato sulla rivista Scientific Reports (Springer Nature) ha utilizzato un approccio computazionale per prevedere gli effetti delle varianti di SARS-CoV-2 sull’efficacia terapeutica di due anticorpi monoclonali, bamlanivimab e etesevimab. Gli anticorpi monoclonali sono derivati, tramite particolari procedure di laboratorio, da molecole che il nostro organismo produce naturalmente in risposta ad un’infezione o dopo la somministrazione di un vaccino. I due anticorpi somministrati insieme sono autorizzati dallo scorso febbraio per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderato, sia negli Stati Uniti che in Europa.
Terapia genica oculare al Policlinico Vanvitelli di Napoli: trattati dieci bambini ipovedenti da tutta Italia.
20 Ott 2021 Scritto da Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
L’Azienda Ospedaliera dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” protagonista di una nuova pagina della Medicina.
La Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli è il primo Centro in Europa per numero di pazienti pediatrici con una forma di malattia ereditaria della retina trattati con terapia genica.
Un trattamento una tantum (Luxturna – Voretigene neparvovec), che combina durabilità, efficacia e un profilo di sicurezza favorevole, indicato per pazienti con distrofia retinica ereditaria causata da mutazioni bialleliche del gene RPE65 e che abbiamo sufficienti cellule retiniche vitali.
Sono dieci i bambini, provenienti da diverse regioni del Centro e del Nord Italia, ad aver riacquistato la vista grazie alla prima terapia genica, voretigene neparvovec di Novartis, per distrofie retiniche ereditarie effettuata presso l’Azienda ospedaliera dell’Ateneo Vanvitelli di Napoli. Una terapia, approvata e rimborsata in Italia, per una rara forma di distrofia retinica ereditaria, quella legata a mutazioni in entrambe le copie del gene RPE65, che ha visto il suo esordio, circa 15 anni fa, con una sperimentazione di fase I realizzata grazie alla collaborazione tra l’Università Vanvitelli, la Fondazione Telethon e il Children Hospital di Philadelphia.
Sindrome dei turnisti: il rischio aumenta se i turni sono a rotazione antioraria
20 Ott 2021 Scritto da Redazione
Un team di ricercatori coordinato dal Dipartimento di Psicologia di Sapienza, in collaborazione con l’Istituto di ricerca Santa Lucia IRCCS di Roma e con l’Università dell’Aquila, ha pubblicato sulla rivista JAMA Network Open uno studio che, per la prima volta in Italia, verifica gli effetti negativi sul personale infermieristico del lavoro a turni con rotazione antioraria, aprendo a prospettive potenzialmente innovative per l'organizzazione lavorativa nell’ambito ospedaliero e non solo.
Una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista JAMA Network Open e coordinata dal Dipartimento di Psicologia di Sapienza, in collaborazione con il Santa Lucia IRCCS di Roma e con l'Università dell'Aquila, ha studiato per la prima volta in Italia gli effetti del lavoro a turni nel personale infermieristico italiano sulla base della rotazione oraria o antioraria dei turni. Lo studio ha coinvolto 144 infermieri provenienti da 5 ospedali del Centro e Sud Italia, seguiti da luglio 2017 a febbraio 2020.