
Ambiente (620)
Il 20 novembre alle ore 10 si chiuderà la campagna #ItaliaLiberadaOGM per promuovere la petizione europea #IchooseGmofree.
RACCOLTE GIÀ 400.000 FIRME, È POSSIBILE FIRMARE FINO AL 19 NOVEMBRE
Le 27 Associazioni contadine, del biologico, ambientaliste e della società civile riunite nel Coordinamento Italia libera da OGM rilanciano le loro richieste: i nuovi OGM rimangano regolamentati dalla direttiva 2001/18/CE e con un’etichettatura trasparente!
Il Coordinamento Italia libera da OGM – C.I.L.O. – composto da associazioni contadine, ambientaliste e della società civile – annuncia la chiusura della campagna #ItaliaLiberadaOGM per promuovere la petizione europea #IchooseGmofree il 20 novembre ore 10. La campagna ha mobilitato cittadini della UE con l’obiettivo di prevenire la deregolamentazione dei nuovi OGM.
In poco più di sei mesi sono state raccolte oltre 400.000 firme, un chiaro segnale della comune volontà dei cittadini italiani ed europei di mantenere anche per i nuovi OGM l’attuale regolamentazione prevista dalla Direttiva europea 2001/18 e la totale trasparenza in etichetta.
Nel 2020 la massa di tutti i manufatti realizzati dall’uomo ha superato la biomassa naturale. Torna la campagna "A Natale mettici il cuore" per proteggere la biodiversità.
Nel 1970 la Terra era abitata da 4 miliardi di persone. Oggi la popolazione umana globale è raddoppiata e sta per toccare gli 8 miliardi. Negli stessi 50 anni, come mostra l’ultimo Living Planet Report, l’abbondanza delle popolazioni selvatiche di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) è invece crollata in media del 69%.
È codice rosso per la natura sul nostro Pianeta. Circa 1 milione di specie è a rischio estinzione e i tassi di scomparsa sono tra le 100 e le 1.000 volte più rapidi di quelli naturali.
Un altro dato sconvolgente mostra che nel 2020 la massa di tutti i manufatti artificiali realizzati dall’uomo ha superato la biomassa naturale, cioè la massa di tutti gli organismi viventi, dalle sequoie ai miliardi di microbi che vivono in ogni manciata di terreno, superando oltre mille miliardi di tonnellate.
Contaminazione da mercurio nel Golfo di Trieste: pubblicato studio UniTS e ASUGI
09 Nov 2022 Scritto da Università degli studi di Trieste
Contaminazione da mercurio nel Golfo di Trieste: pubblicato studio pilota di UniTS e ASUGI sui capelli dei residenti
La concentrazione di mercurio nei capelli dei residenti del Golfo di Trieste è al di sotto dei limiti consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: le tracce rilevate sono correlate alla quantità di pesce assunto con la dieta e sono in linea con i dati riportati in altre zone costiere, in Italia e nel mondo.
Sono i risultati di uno studio pilota appena pubblicato su Environmental Science Pollution Research International dall’Unità Clinico Operativa di Medicina del Lavoro, in collaborazione con ASUGI, e Mercurylab del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università degli Studi di Trieste. L’obiettivo era stimare l’esposizione cronica a mercurio nella popolazione in un’area storicamente a rischio.
Il Golfo di Trieste, infatti, è l'area costiera del Mar Mediterraneo maggiormente contaminata da mercurio a causa degli scarichi nel fiume Isonzo che per più di 500 anni hanno drenato l’attività estrattiva del cinabro del distretto minerario di Idrija (Slovenia Occidentale).
Gestione forestale: un’arma contro il cambiamento climatico
07 Nov 2022 Scritto da Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Cnr-Isafom)
Due studi dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isafom) pubblicati sulle riviste Science of the Total Environment e Agricultural and Forest Meteorology analizzano la capacità di sequestro e stoccaggio del carbonio in diversi scenari di gestione forestale e cambiamento climatico degli ecosistemi forestali in Europa. I risultati dell’indagine aiutano a comprendere gli effetti del cambiamento climatico in atto e il peso dell'impatto antropico sulle foreste.
Le foreste hanno la capacità di sequestrare carbonio atmosferico e di stoccarlo nella biomassa. Questa caratteristica è influenzata dal cambiamento climatico in atto. Un team internazionale guidato da Daniela Dalmonech, assegnista di ricerca del Laboratorio di modellistica forestale (Forest Modelling Lab) presso l’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isafom) di Perugia, cerca di fare luce sul possibile futuro delle foreste europee e sul ruolo della gestione forestale nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico, analizzati con un approccio modellistico.
Uno studio condotto da due istituti di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari Venezia e altri partner internazionali, ha ricostruito le variazioni della copertura di ghiaccio marino sub-polare in risposta ai rapidi riscaldamenti climatici verificatisi durante l’ultima era glaciale. Il lavoro è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista americana PNAS
Uno studio condotto da due istituti di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima (Isac) e Istituto di scienze polari (Isp) - in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari Venezia, l’Università di Padova e con diversi istituti internazionali (AWI, CIC, CSIC, PSI), ha ricostruito, ad alta risoluzione temporale, l’evoluzione della copertura di ghiaccio marino nella regione sub-polare compresa tra la Baia di Baffin e il Mare del Labrador, prendendo in esame una serie di oscillazioni repentine del clima avvenute tra 36 e 44 mila anni fa. La ricerca è pubblicata su Proceedings of the National Academy of Science (PNAS).
L'estate più calda mai registrata in Europa e il suo impatto drammatico sul sistema agricolo
Di fronte alla crisi climatica siamo spesso portati a considerarci impotenti e a demandare alle decisioni delle istituzioni e delle aziende. Invece ogni scelta che facciamo ha ripercussioni non solo dirette, ma anche indirette sulle emissioni totali di gas serra, orientando l’economia, e quindi può favorire la lotta al cambiamento climatico. Questo è particolarmente vero quando parliamo di abitudini di vita, a cominciare da quelle alimentari.
Il sistema alimentare rappresenta il 29% dell’impronta ecologica globale delle attività umane: il cibo infatti deve essere coltivato, raccolto, pescato, allevato e poi trasformato, trasportato, confezionato, distribuito, cucinato e spesso sprecato. In ognuno di questi passaggi consumiamo risorse e provochiamo emissioni di gas serra che contribuiscono al cambiamento climatico. Il 23% delle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane deriva dall’agricoltura (incluse silvicoltura e altri usi del suolo) e oggi sono 5,3 i milioni di km2 di aree naturali convertite in terreni agricoli, corrispondenti a poco meno della superficie di tutta l’Europa continentale (esclusa la Russia). L’agricoltura intensiva inoltre compatta il suolo, aumenta l’erosione e riduce la quantità di materiale organico nel terreno. L’uso di fertilizzanti artificiali ha causato il raddoppiamento delle emissioni di protossido di azoto, un potente gas serra, negli ultimi 50 anni. Gli allevamenti intensivi da soli sono responsabili del 14,5% delle emissioni globali, paragonabili all’intero settore dei trasporti globale.
Il WWF ha pubblicato il rapporto sul Pianeta vivente, bilancio drammatico per la fauna selvatica: in America Latina e Caraibi popolazioni diminuite in media del 94% dal 1970. In 50 anni le popolazioni do vertebrati sul pianeta sono crollate in media del 69%. Fra le specie di acqua dolce si registra il maggior declino a livello globale: sono calate dell’83%
Il Living Planet Index del rapporto mostra che non c’è tempo da perdere se vogliamo una società ‘nature-positive’. Il WWF: dobbiamo dimezzare l’impronta globale di produzione e consumo entro il 2030.
È un calo medio devastante quello subìto dalle popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci dal 1970 in tutto il mondo: le popolazioni di fauna selvatica monitorate dal Living Planet Report (LPR) 2022, il rapporto biennale sulla salute del pianeta, che il WWF lancia oggi a livello globale, sono calate in media del 69%.
I cambiamenti nelle temperature superficiali dell’Oceano Atlantico osservati negli ultimi decenni sono condizionati da influssi esterni, come le emissioni di gas serra e le polveri contenenti solfati. È quanto risulta da una ricerca coordinata dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr e pubblicata su Theoretical and Applied Climatology Un recente studio dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia), coordinato dal ricercatore Antonello Pasini in collaborazione con Stefano Amendola, del Centro di montagna dell’Aeronautica militare ed Emmanuel Federbusch della Ecole National Supérieure de Techniques Avancées di Parigi, mostra come i cambiamenti nelle temperature superficiali dell’Oceano Atlantico siano di natura antropica . Lo studio è pubblicato sulla rivista internazionale Theoretical and Applied Climatology.
Cambiamenti climatici e deforestazione instradano i primati verso un nuovo stile di vita
12 Ott 2022 Scritto da Università di Roma La Sapienza
Uno studio internazionale a cui ha preso parte la Sapienza ha analizzato i fattori ecologici ed evolutivi che spingono scimmie e lemuri che vivono sugli alberi a terra. La ricerca condotta su larga scala nei primati di 3 continenti, è stata pubblicata sulla rivista PNAS
Uno studio internazionale su 47 specie di scimmie e lemuri ha evidenziato come i cambiamenti climatici e le deforestazioni interferiscano sullo stile di vita dei primati. L’influenza dei cambiamenti ambientali porta molti di questi animali, che vivono normalmente sugli alberi, a cambiare le proprie abitudini, spingendoli a scendere a terra, dove sono più esposti a fattori di rischio come la mancanza di cibo, i predatori, la presenza dell’uomo e degli animali domestici.
Lo studio, pubblicato sulla rivista PNAS (The Proceedings of the National Academy of Sciences) è stato coordinato da Timothy Eppley, ricercatore presso il San Diego Zoo Wildlife Alliance (SDZWA), e vede la straordinaria collaborazione a livello mondiale di 118 co-autori provenienti da 124 istituti diversi, tra cui Luca Santini della Sapienza di Roma che ha co-ideato e supervisionato il lavoro. I risultati si basano su circa 150.000 ore di dati di osservazione riguardanti 15 specie di lemuri e 32 specie di scimmie in 68 siti nelle Americhe e in Madagascar.
Ghiacciai antartici più sensibili del previsto all'aumento di temperatura
10 Ott 2022 Scritto da Università Ca Foscari Venezia
Nell’Antartide Orientale, enormi ghiacciai si trovano in bacini al di sotto del livello del mare. Comprendere la risposta di questi ghiacciai all’innalzamento delle temperature atmosferiche e oceaniche è cruciale per migliorare gli scenari futuri di innalzamento dei mari.
Uno studio internazionale pubblicato su Nature Communications da ricercatrici dell'Università Ca’ Foscari Venezia in collaborazione con il centro di ricerca francese Lsce, il Cnrs e l’Università Roma Tre dimostra che i ghiacciai costieri dell’Antartide Orientale durante i passati periodi caldi non erano stabili, a differenza di quanto indicato fino ad oggi dalla maggior parte della letteratura scientifica.
Lo studio si è concentrato sui ghiacciai costieri ospitati dal bacino subglaciale di Wilkes, la cui fusione potrebbe far innalzare il livello del mare globale di ben 3 metri. Durante i passati periodi caldi del pianeta, rivela la ricerca, questi ‘ghiacciai al di sotto del livello del mare’ sono stati molto più sensibili all’aumento delle temperature dell’Oceano Australe di quanto finora ipotizzato. I ricercatori sono giunti a questo risultato analizzando la composizione isotopica delle molecole di acqua contenute in una carota di ghiaccio nota come “Taldice” (dal nome del progetto europeo che ne ha finanziato l’estrazione) proveniente da Talos Dome, una zona semi costiera dell’Antartide Orientale. Gli isotopi dell’acqua consentono agli scienziati di ricostruire le temperature del passato.