Ambiente

Ambiente (558)


La diffusione in ambiente di farmaci e pesticidi ha raggiunto livelli tali da determinarne la presenza anche negli uccelli marini. Lo rivela una ricerca condotta da Marco Picone, ricercatore dell’Università Ca’ Foscari Venezia, su due specie che nidificano nella Laguna di Venezia, la sterna ‘beccapesci’ (Thalasseus sandvicensis) e il gabbiano corallino (Ichthyaetus melanocephalus). Come predatori apicali nella rete trofica acquatica, sono ‘sentinelle’ del loro habitat e forniscono indicazioni indirette sulla presenza dei farmaci nei tessuti delle loro prede e nell’ambiente.

L’analisi sulle piume prelevate dai pulli di questi uccelli marini non ha lasciato spazio a dubbi: l’87% dei 47 campioni analizzati conteneva il principio attivo diclofenac, un antinfiammatorio non-steroideo, ma sono stati rilevati anche ibuprofene, nimesulide, naprossene e gli antidepressivi citalopram, fluvoxamina e sertralina. Inoltre, il 91% dei campioni contenevano tracce quantificabili di neonicotinoidi, una classe di pesticidi chimicamente simili alla nicotina.

 

Da decenni la foca monaca, tra i pinnipedi più rari al mondo e l’unico presente nel Mar Mediterraneo, era considerata estinta nelle acque dei mari italiani, fino ai recenti avvistamenti nel Mar Tirreno e Ionio, che hanno fatto ipotizzare un suo ritorno. Per mapparne la presenza, i ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca hanno realizzato un metodo di rilevazione innovativo e non invasivo, basato sul recupero e analisi del DNA ambientale (eDNA) dai campioni di acqua prelevati nel Mare Nostrum. I primi test e i risultati delle azioni di monitoraggio hanno dato riscontro positivo, anticipando alcune delle recenti segnalazioni del mammifero marino al largo delle coste toscane e siciliane, in tratti di mare poco frequentati.

Il metodo è stato descritto in un articolo dal titolo “A species-specific qPCR assay provides novel insight into range expansion of the Mediterranean monk seal (Monachus monachus) by means of eDNA analysis”, appena pubblicato dalla rivista scientifica “Biodiversity and Conservation” . Prima autrice Elena Valsecchi, ecologa molecolare del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca e docente di Marine Vertebrate Zoology.

 

Il governo olandese ha reso noti i suoi piani per dimezzare le emissioni di azoto nazionali entro il 2030, anche attraverso la riduzione del 30% dei capi allevati. Si tratta del primo Paese in Europa a prendere questa strada, che il mondo scientifico indica ormai da tempo, avvertendo che le soluzioni tecnologiche non sono sufficienti a ridurre gli impatti del settore zootecnico, se non si interviene anche sul numero e sulla densità degli animali allevati. L’accordo non lascerà soli gli allevatori: sono stati stanziati 25 miliardi di euro per accompagnare questa transizione.

In Olanda per decenni gli alti livelli di emissioni e di carichi di azoto, dovuti principalmente alla zootecnia, hanno progressivamente deteriorato gli habitat naturali più vulnerabili. A maggio 2021 Greenpeace Olanda aveva inviato al governo una lettera di messa in mora per il mancato rispetto della Direttiva Habitat (articolo 6 paragrafo 2), che impone agli Stati membri di adottare misure appropriate per arrestare il deterioramento degli habitat naturali. La messa in mora era stata accompagnata da un dettagliato rapporto in cui si dimostrava che gli habitat naturali più vulnerabili erano già gravemente compromessi a causa degli elevati livelli di azoto e che serviva un drastico cambio di rotta.

Un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna ha analizzato la distribuzione del declino delle acque rispetto alla distanza dai grandi centri abitati, ideando un modello che potrebbe rivelarsi utile per mitigare gli impatti dell’urbanizzazione sull’ecosistema.

La riduzione delle risorse idriche superficiali – ad esempio le acque dei fiumi e laghi – è più rapida e marcata vicino ai centri urbani e diminuisce man mano che ci si allontana dalle città. Analizzando oltre trent’anni di immagini satellitari del territorio degli Stati Uniti, un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna ha non solo rilevato e ricostruito questo
fenomeno, ma ha anche realizzato un modello capace di riprodurre la distribuzione del declino delle acque rispetto alla distanza dai grandi centri abitati. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista AGU Advances. “Entro il 2050 circa il 70% della popolazione mondiale sarà concentrato nelle città: un fenomeno che avrà grossi impatti sulla quantità e qualità delle acque di superficie, e in particolare dei fiumi, attorno ai centri abitati”, spiega Irene Palazzoli, dottoranda al Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali dell’Università di Bologna, prima autrice dello studio. “Per questo, i risultati del nostro lavoro possono rivelarsi fondamentali per definire strategie di gestione delle acque che permettano di mitigare gli impatti dell’urbanizzazione sull’ecosistema”.

 

Coca-Cola ha annunciato che renderà riutilizzabile il 25% degli imballaggi per bevande entro il 2030. Dopo anni di campagna contro il monouso, Greenpeace accoglie con soddisfazione l’annuncio di Coca-Cola. Tuttavia, secondo l’organizzazione ambientalista è necessario andare oltre e arrivare all’obiettivo del 50% di packaging ricaricabile e riutilizzabile entro il 2030. Un traguardo indispensabile per un’azienda che ogni anno produce oltre 120 miliardi di bottiglie di plastica.

Secondo i monitoraggi dei rifiuti di plastica che invadono città, coste, mari e ogni angolo del pianeta realizzati in tutto il mondo dalla coalizione Break Free From Plastic, di cui Greenpeace fa parte, i rifiuti riconducibili a Coca-Cola sono i più abbondanti e hanno posto l’azienda americana al vertice di questa triste classifica per quattro anni consecutivi.

 

L’INQUINAMENTO DEGLI OCEANI SARÀ 4 VOLTE MAGGIORE ENTRO IL 2050

IN MOLTE AREE, TRA CUI IL MAR MEDITERRANEO, È GIÀ STATA SUPERATA LA SOGLIA MASSIMA DI INQUINAMENTO PERICOLOSO DA MICROPLASTICHE

 


L’appello in vista della prossima Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente – UNEA (28 febbraio-2 marzo) perché si adotti finalmente un Trattato globale legalmente vincolante
Un nuovo report del WWF analizza oltre 2.590 studi sull’inquinamento da plastica negli oceani e fornisce l’analisi completa degli impatti che sta causando sulle specie e sugli ecosistemi marini: una vera e propria crisi planetaria, secondo la definizione data dalle Nazioni Unite.

Secondo il report è probabile che la crescita prevista dell’inquinamento da plastica comporterà in molte aree rischi ecologici significativi che indeboliranno gli attuali sforzi per proteggere e aumentare la biodiversità, se non si interverrà ora per ridurre la produzione e l’uso della plastica a livello globale. Basti pensare che la massa (in peso) di tutta la plastica presente sul Pianeta è il doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme!

 

Si chiama Greenpizza ed è il primo podcast originale realizzato da Greenpeace Italia. Il nuovo prodotto editoriale dell’organizzazione ambientalista (disponibile a partire da oggi su https://greenpizza.buzzsprout.com/ e su tutte le principali piattaforme come Spotify, Amazon Music e Apple podcast) ogni settimana affronterà con un ospite diverso i temi più scottanti del pianeta: clima, inquinamento, allevamenti intensivi, mobilità, greenwashing e molto altro.

Il primo episodio di Greenpizza si intitola Nel 2022 salveremo il Pianeta? ed è dedicato alla crisi climatica e al caro bollette. Ospite il giornalista e conduttore Riccardo Iacona, che parlerà di cambiamenti climatici, con anticipazioni sulle nuove inchieste di PresaDiretta, al via da questa sera su Rai3.

 

È possibile garantire una dieta sana per una popolazione futura di 10 miliardi di persone rispettando le soglie di sostenibilità del pianeta?

Con una pubblicazione sulla prestigiosa rivista Nature Food, Marta Tuninetti, Luca Ridolfi e Francesco Laio del Dipartimento di Ingegneria dell'Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture-DIATI del Politecnico di Torino, propongono un indicatore, il Diet Gap, per misurare l’inadeguatezza dei sistemi alimentari attuali dal punto di vista della salute e della sostenibilità.

Le abitudini alimentari sono peculiari del paese in cui viviamo e possono essere molto diverse da quelle di altri paesi per ragioni legate al contesto storico, religioso, culturale, economico e sociale: “siamo quello che mangiamo”.

Un esperimento di scienza partecipata ha permesso di misurare il rumore esterno che arriva nelle abitazioni degli italiani, grazie a un protocollo in grado di analizzare l'associazione tra i livelli sonori misurati, il comfort individuale e i fattori sociali e ambientali del contesto sonoro di riferimento. I risultati dello studio, firmato dall’Istituto nanoscienze e dall’Unità comunicazione e relazioni con il pubblico del Consiglio nazionale delle ricerche, dagli Istituti clinici scientifici “Maugeri” e da Arpa Piemonte, sono pubblicati su PlosOne.


Uno smartphone per misurare il rumore ambientale sul territorio nazionale e associarlo alla valutazione soggettiva del benessere acustico nel momento della misurazione. A progettare un protocollo sperimentale in grado di misurare il rumore in modo semplice e anonimo e di analizzare al contempo i dati raccolti, un team di ricercatori ed esperti di comunicazione della scienza dell’Istituto nanoscienze (Nano) e della (già) Unità comunicazione relazioni con il pubblico (Ucrp) del Consiglio nazionale delle ricer che (Cnr), d egli Istituti clinici scientifici “Maugeri” e d i Arpa Piemonte. I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati su PlosOne.


Un team di ricerca del Cnr-Igg ha identificato il ruolo dei parametri climatici e della vegetazione sui flussi di CO2 nella tundra artica. I risultati, ottenuti grazie a campagne di misura e modelli matematici, sono pubblicati su Scientific Reports

Non solo radiazione solare e temperatura. Nella tundra artica l’umidità del suolo, l’abbondanza ed il tipo di vegetazione controllano lo scambio di CO2 tra suolo, vegetazione e atmosfera. È la conclusione di uno studio realizzato da un team di ricerca dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igg) e pubblicato sulla rivista Scientific Reports.

I ricercatori hanno analizzato le misure di flussi di anidride carbonica nella tundra artica dell’isola di Spitzbergen (Norvegia), nel bacino del torrente Bayelva, non lontano dalla stazione artica Dirigibile Italia del Cnr, identificando le variabili climatiche ed ecologiche da cui tali flussi dipendono.

 

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