
Ambiente (653)
Siccità eccezionali, come quella che ha colpito il bacino padano in questi ultimi tre mesi, saranno sempre più frequenti: negli ultimi 20 anni se ne sono succedute diverse di analoga eccezionalità (2003, 2006) che però si sono manifestate stagionalmente più avanti, ora invece ci affacciamo alla primavera con una carenza d’acqua impressionante. Sono previste piogge e qualche precipitazione c’è già stata, ma non sarà facile colmare il deficit che si è creato. Dobbiamo peraltro sperare che le precipitazioni non si verifichino tutte insieme, concentrate in pochi giorni o poche ore, o in alcune zone, come è avvenuto spesso in questi ultimi anni, con danni incalcolabili al territorio e all’economia locale.
Uno studio del Cnr-Irsa ha rilevato che, in acqua, i batteri che crescono sulle microparticelle derivate dagli pneumatici sono più pericolosi per l’ambiente rispetto a quelli che si sviluppano sui frammenti delle bottiglie di plastica, che invece potrebbero porre problemi per la salute dell’uomo.
La ricerca è pubblicata su Journal of Hazardous Materials Plastiche e microplastiche sono riconosciute come un inquinante emergente con effetti nefasti sulla salute dell'ambiente, dell'uomo e degli animali acquatici.
Uno studio dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr- Irsa) ha dimostrato come microplastiche diverse possano causare un impatto differente sulle comunità batteriche in acqua. La ricerca è stata pubblicata su Journal of Hazardous Materials. “In un sistema che replica un fiume o un lago italiano abbiamo comparato le comunità batteriche che crescono sul polietilene tereftalato (Pet) ricavato da una bottiglia di bibita, molto abbondante in acqua, con quelle che si sviluppano su particelle di pneumatico usato, quasi sconosciute a causa del fatto che tendono a non galleggi are e ad affonda re molto lentamente”, spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa.
L’abete rosso in Scandinavia: una colonizzazione che ha avuto inizio più di 10.000 anni fa
31 Mar 2022 Scritto da Università di Roma La Sapienza
La recente scoperta di antichi resti di DNA antico, presenti nei sedimenti lacustri al margine meridionale della calotta glaciale scandinava e attribuibili all'abete rosso, porta nuova luce sulle dinamiche di risposta delle foreste ai cambiamenti climatici del passato. Lo studio internazionale, coordinato dalla Sapienza, è stato pubblicato su Nature Communications
L'abete rosso è oggi la specie arborea più comune in Fennoscandia, la parte d'Europa che comprende la Finlandia e la penisola scandinava. Diversi studi, basati su ritrovamenti di polline fossile di abete in antichi sedimenti lacustri, hanno dimostrato che ci sono volute diverse migliaia di anni prima che questa specie giungesse in Svezia dopo l'ultima glaciazione e diventasse la specie dominante delle foreste scandinave. Secondo tali analisi l'abete sarebbe giunto in Svezia dal nord-est solo 2.000 anni fa.
Ricercatori dell’Istituto di chimica dei composti organometallici del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iccom) in collaborazione con l’ETH di Zurigo, a partire da un complesso organometallico di rutenio, hanno realizzato una cella elettrolitica per la produzione di idrogeno verde dall’acqua. Le ricadute della ricerca riguardano sia la chimica fondamentale che nuove prospettive per la produzione sostenibile di idrogeno. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Chemical Science
Ricercatori dell’Istituto di chimica dei composti organometallici del Consiglio nazionale delle ricerche in collaborazione con l’ETH di Zurigo hanno scoperto che la produzione di idrogeno verde dall’acqua può essere promossa da singoli atomi di rutenio. I ricercatori hanno dimostrato per la prima volta che un complesso organometallico dinucleare di rutenio è un attivo catalizzatore per la generazione di idrogeno in una cella elettrolitica a membrana polimerica (PEM). L’apparato realizzato su piccola scala di laboratorio produce 28 litri di H2 (diidrogeno) per grammo di rutenio al minuto. In sette giorni di attività non si registrano fenomeni di degradazione del catalizzatore. Al momento l’efficienza non è paragonabile ad un sistema commerciale, ma rappresenta una proof of concept per una nuova classe di elettrolizzatori. La ricerca è stata recentemente pubblicata sulla rivista Chemical Science.
Greenpeace: Ridurre la zootecnia intensiva a livello europeo per compensare il deficit di grano dell’Ucraina
24 Mar 2022 Scritto da RedazioneOggi è stata presentata la strategia della Commissione Europea per affrontare le conseguenze dalla guerra in Ucraina sul settore agroalimentare. Secondo Greenpeace, una riduzione dell’8% nell’uso di cereali per l’alimentazione animale nell’UE consentirebbe di risparmiare abbastanza frumento per compensare il deficit previsto a causa dell’invasione della Russia in Ucraina.
La produzione di grano dell’Ucraina, da cui molti paesi a basso reddito al di fuori dell’UE dipendono per le forniture alimentari, sarà infatti ridotta a causa del conflitto. L’impatto principale di questa guerra nei confronti degli agricoltori europei, invece, è una limitata riduzione dell’importazione di materie prime destinate alla mangimistica e problemi nelle forniture di fertilizzanti sintetici, che in buona parte sono usati per coltivare mangimi destinati alla produzione intensiva di carne.
Le 36 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO₂) immesse ogni anno nell’atmosfera causate delle attività umane, hanno ad oggi portato all’aumento di circa 1,1°C della temperatura media globale, rispetto al periodo preindustriale.
Per quanto l’uomo possa adoperarsi per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, non sarà possibile limitare il riscaldamento globale a +1,5 °C entro metà del secolo – come previsto dall’Accordo di Parigi – senza preservare la capacità delle foreste e di altri ecosistemi naturali, come le savane e zone umide, di assorbire ingenti quantità di CO2 dall’atmosfera. Proprio dell’importanza delle foreste per il clima parla il nuovo report WWF, pubblicato in occasione della nella Giornata internazionale delle foreste “Deforestazione e cambiamento climatico: l’impatto dei consumi sui sistemi naturali” e realizzato in vista di Earth Hour, la mobilitazione globale del WWF per la natura e il clima che, il 26 marzo alle 20.30, invita tutti a spegnere un’ora le luci come gesto simbolico per un futuro più sicuro, giusto e sostenibile.
Le foreste sono a livello globale il secondo maggior serbatoio di carbonio dopo gli oceani: trattengono complessivamente ben 861 miliardi di tonnellate di carbonio e ogni anno assorbono circa un terzo delle emissioni antropiche di CO2, evitandone l’accumulo in atmosfera. Le foreste, inoltre, forniscono tanti altri servizi connessi con il clima, come la produzione di ossigeno e la regolazione del regime delle piogge.
Soluzioni basate sulla natura come il restauro degli habitat degradati possono aiutare ad adattarsi e a mitigare il cambiamento climatico
La crisi climatica non è un problema del futuro, il clima sta cambiando adesso e il nostro Pianeta oggi, non è lo stesso in cui vivevano generazioni precedenti alla nostra. Il Report IPCC dell’Onu ce lo ha detto senza mezzi termini: il riscaldamento globale ha già provocato “danni sostanziali e perdite sempre più irreversibili negli ecosistemi terrestri, d’acqua dolce e marini”. Circa 3,6 miliardi di persone “vivono in contesti altamente vulnerabili al cambiamento climatico”. E se non agiremo subito, entro il 2100 circa il 50-75% della popolazione globale potrebbe essere esposta a periodi di “condizioni climatiche pericolose per la vita” a causa degli impatti estremi.
La nuova necessità che si impone, in aggiunta ai piani di transizione ecologica e energetica, è quella di sviluppare piani di adattamento. Nell’affrontare le grandi sfide globali come cambiamento climatico, sicurezza alimentare e disastri naturali l’uomo non è solo. La natura è sua alleata e quindi le soluzioni basate sulla Natura (Nature Based Solutions- NBS) come tutelare e ripristinare gli ecosistemi naturali, sono uno strumento indispensabile da inserire nel nostro portfolio di azioni per la lotta al cambiamento climatico.
Un'ora a luci spente per un futuro più giusto e sostenibile: l'evento globale del WWF manda un messaggio per le persone, il clima e la natura.
Sabato 26 marzo torna Earth Hour, l’Ora della Terra, l’iniziativa globale del WWF che da sempre invita le persone a mobilitarsi per un futuro più sicuro, giusto e sostenibile per tutti. Anche quest’anno, alle 20,30 locali, in tutti i Paesi del mondo si spegneranno le luci: un gesto simbolico per chiamare all’azione nei confronti dell’emergenza climatica e della perdita di natura.
Earth Hour, arrivata alla sua quattordicesima edizione, rappresenta da sempre una mobilitazione che unisce milioni di persone da tutto il mondo in un’unica voce per proteggere il clima e la natura e che oggi, nel difficile momento storico in cui viviamo, acquista ancora maggior forza lanciando un messaggio globale per costruire un futuro di armonia fra gli uomini e con la natura.
Quello appena passato è stato un anno allarmante per il clima: gli eventi estremi e le anomalie si sono moltiplicate, giungendo a nuovi record come quello registrato in Canada in estate, con quasi 50°C in alcune località della British Columbia, dopo che l’ONU ha confermato che nel 2020 si sono raggiunti i 38°C in Siberia. La crisi climatica è adesso e sta causando impatti diffusi e sempre più forti.
Il cambiamento climatico modifica i delicati ecosistemi lacustri artici. Una ricerca di Sapienza e Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) alle Isole Svalbard studia i cambiamenti in corso. I risultati sono pubblicati su Scientific Reports
Uno nuovo studio coordinato dal gruppo di Ecologia trofica del Dipartimento di biologia ambientale della Sapienza fa luce sulle relazioni che legano il clima al funzionamento dei delicati ecosistemi lacustri artici, considerati hotspot di biodiversità e sink di carbonio alle più elevate latitudini.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, fortemente interdisciplinare, è stata realizzata in collaborazione con l’Istituto di scienze polari e l’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr, combinando l’analisi elementare e degli isotopi stabili di campioni animali e vegetali con l’analisi di immagini satellitari e la ricostruzione dell’idrodinamica di 18 laghi in 3D alle Isole Svalbard.
Bioinvasioni del Mediterraneo: 42 specie aliene trovate nei porti di Livorno, Bastia e Olbia
09 Mar 2022 Scritto da Università di PisaLo studio dell’Università di Pisa pubblicato sul Marine Pollution Bulletin
Quarantadue specie aliene, con popolazioni anche numericamente consistenti, sono state ritrovate nei porti di Livorno, Bastia e Olbia, si tratta soprattutto di crostacei, vermi policheti, molluschi e altri invertebrati. La notizia arriva da uno studio dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista Marine Pollution Bulletin che per la prima volta ha anche valutato quali delle zone interne alle aree portuali siano più soggette alle bioinvasioni.
“Le bioinvasioni rappresentano ad oggi una delle principali problematiche ecologiche che interessano gli ecosistemi marini, specialmente nel Mediterraneo – spiega Alberto Castelli, professore ordinario del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano - lo studio degli ambienti portuali riveste quindi un particolare interesse proprio perché si tratta di aree particolarmente suscettibili alle bioinvasioni dove le specie aliene, volontariamente o accidentalmente introdotte dall’uomo, costituiscono un rischio per la biodiversità locale”.