Nonostante le condizioni economiche globali più favorevoli e i ritmi di crescita sostenuti di molte economie dell’area, il Sud del bacino rimane notevolmente meno sviluppato. “Il terzo dei circa 500 milioni di persone che vive nei Paesi del Nord dispone dei due terzi del Pil e dell’energia”, prosegue la ricercatrice, che ha curato il volume assieme a Paolo Malanima dell’Università Magna Grecia di Catanzaro. “Sintomo di tali divari, le spinte migratorie, che si sono intensificate specialmente dall’Africa sub-sahariana verso il Maghreb, come tappa intermedia verso l’Europa, alimentate dal deterioramento ambientale e dai conflitti che le ondate di siccità hanno accentuato, caso emblematico il Darfour”.
L’Europa è ancora il principale partner di questi Paesi. “Dall’Ue proviene, infatti, oltre il 50% delle importazioni totali e intorno al 60% delle esportazioni dei Paesi della riva sud ed est del Mediterraneo (Psem), che però rappresentano per l’Unione un mercato ancora di scarsa importanza. Complessivamente i Psem nel 2012 contribuivano a meno del 2% degli scambi totali (import più export) dell’Ue con l’estero”, puntualizza Ferragina.
Un quadro incerto, dunque, anche per la vulnerabilità dei Paesi della ‘primavera araba’. “L’instabilità macroeconomica e socio-politica rischia di essere un deterrente per gli investimenti e per la crescita anche negli anni futuri, a meno che non vengano attuate riforme significative delle politiche economiche e delle strategie di crescita”, conclude la ricercatrice dell’Issm-Cnr. “È necessario che l’Europa concentri i suoi interventi presentandosi come un soggetto politico oltre che economico. Per l’Italia, poi, si tratta di gestire fenomeni complessi come la pressione migratoria, l’irrisolto conflitto arabo-israeliano, la richiesta di asilo di popolazioni in stato di guerra”.
Roma, 14 novembre 2014