Ambiente

Ambiente (654)

Una serie di fragranze e idrocarburi policiclici aromatici derivati da prodotti per la cura personale di largo consumo presenti in una carota di ghiaccio campionata sull’altura caucasica, è stata quantificata dai ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Cnr e dell’Università Ca’ Foscari Venezia: i profili di concentrazione misurati dagli anni ’30 del 1900 fino al 2005 seguono lo stesso trend degli idrocarburi policilici aromatici (PAHs) prodotti della combustione e delle attività industriali, con un aumento ben visibile a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, coincidente con l’inizio della “Grande accelerazione”. I risultati sono pubblicati su Scientific Reports

I cambiamenti climatici e del territorio provocati dall’impatto umano sulla Terra segnano l’inizio di una nuova era geologica, l’Antropocene. Le tracce delle attività antropiche, come i residui di materiali plastici e di inquinanti organici e inorganici, sono presenti in quasi ogni angolo del Pianeta, anche nelle aree più remote. La criosfera, in particolare, è un “archivio” importante per i composti di origine antropogenica, perché gli aereosol e le molecole trasportati dall’atmosfera vengono preservati dalle deposizioni nevose, accumulatesi nel corso degli anni.



Non solo Oceani, dove la plastica è presente nel 70% al 90% dei rifiuti in mare: la firma ‘indelebile’ di questo materiale, che ci accompagna massivamente dagli anni ’50, è stata trovata persino nelle rocce come elemento stratigrafico distintivo di un’epoca geologica che ormai viene definita Antropocene.
Lo denuncia il WWF nella seconda puntata del suo report “Plastica-una storia infinita”, lanciata nell’ambito della campagna GenerAzioneMare e che marcherà settimanalmente questo argomento anche con eventi di pulizia sul territorio.

Nel report si segnala un recente studio[1] che dimostra come i processi geologici abbiano iniziato a incorporare in rocce litoranee la plastica finita in mare: la presenza della plastica è evidente nei depositi terrestri, e sta diventando tale anche nei depositi sedimentari marini sia di acque profonde che poco profonde. Lo studio ci dice quindi che la plastica è ormai diventata un ‘tecnofossile’ ed è destinata a restare negli strati geologici al pari di ciò che oggi osserviamo nei sedimenti come testimonianza delle ere passate, dalle ammoniti ai resti di mammut.

Oggi il WWF Italia ha inviato una diffida formale al Presidente della Provincia Autonoma di Trento (PAT), Maurizio Fugatti, chiedendo la revoca dell’ordinanza “intervento di monitoraggio, identificazione e rimozione di un orso pericoloso per l’incolumità e la sicurezza pubblica” del 24/06/2020, emessa in seguito al noto episodio dell’incidente avvenuto tra due uomini e un orso sul Monte Peller (TN).

L’Associazione sottolinea come le cause dell’accaduto non siano ancora del tutto chiare, e le informazioni attualmente in possesso delle Autorità non possano ritenersi sufficienti a motivare (dopo il suo riconoscimento e identificazione) l’abbattimento dell’orso, la misura di gestione più estrema prevista dal PACOBACE (Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali).

 

Greenpeace Italia pubblica oggi una nuova inchiesta, “Un santuario di balle”, per fare luce sulle responsabilità del rilascio in mare di alcune decine di tonnellate di rifiuti in plastica diretti in Bulgaria. Una vicenda accaduta cinque anni fa nel Golfo di Follonica e ancora irrisolta.

Il 23 luglio 2015 una nave cargo salpa da Piombino diretta a Varna, in Bulgaria, con un carico di 1.888 balle di rifiuti di plastica da incenerire. A causa di un’avaria, un’ora dopo la partenza il Comandante dà ordine di sversare in mare parte del carico pari a 56 balle. È così che 65 tonnellate di plastica finiscono nelle acque protette del Santuario dei Cetacei. Nessuna autorità marittima è a conoscenza dell’incidente fino al 31 luglio, quando una balla finisce accidentalmente nelle reti di un peschereccio nel Golfo di Follonica. Da qui parte l’inammissibile catena di omissioni, mancanze e negligenze delle istituzioni preposte che, invece di intervenire, si rimpallano ruoli, obblighi e inefficienze.


Nello studio dell’Università di Pisa sulla rivista Mediterranean Marine Science la valutazione dei possibili rischi ambientali; l’ipotesi è che il pesce sia arrivato da laghetto di pesca sportiva per le piene dell’Arno nell’autunno 2019


E’ un grosso esemplare di persico spigola ibrido il pesce alieno individuato per la prima volte fra la foce dell’Arno e la costa di Marina Pisa da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa. L’episodio, accaduto lo scorso dicembre, è stato oggetto di uno studio pubblicato su “Mediterranean Marine Science”, una rivista che a cadenza regolare segnala i nuovi avvistamenti di specie aliene e non indigene nel Mediterraneo per monitorarne l'espansione. Secondo i ricercatori l’esemplare in questione, mezzo metro di lunghezza per 2,7 kg di peso, proverrebbe da un laghetto di pesca sportiva, da cui è probabilmente fuggito durante le piene dell'Arno nell’autunno del 2019. Quello sulle coste pisane sarebbe inoltre il primo avvistamento in un ambiente marino. Il persico spigola ibrido, selezionato per avere pesci più robusti e a crescita più rapida, è infatti un incrocio tra Morone chrysops, una specie tipicamente di acqua dolce, e Morone saxatilis, più legata ad ambienti salmastri.




Il WWF Italia ha lanciato una petizione sulla piattaforma Change.org, per chiedere al presidente della Provincia Autonoma di Trento di ritirare l’ordinanza di abbattimento per l’orso in Trentino. Augurando una pronta guarigione ai due uomini coinvolti nell'incidente, che, nonostante la paura, si sono espressi contro l’abbattimento, per il WWF sono infatti molti i motivi per cui l’ordinanza di Fugatti è fuori luogo.

Il testo della petizione


Il presidente della provincia di Trento ha firmato un’ordinanza che condanna a morte un altro orso. Incredibilmente questa condanna è stata emessa senza un “processo” visto che ancora non sono chiare le dinamiche che hanno portato l’orso a ferire due persone (erano presenti cuccioli?).

Non è il primo orso che viene condannato a morte in Trentino. Per questo vanno fermati gli abbattimenti “automatici” di tutti gli orsi coinvolti in incontri ravvicinati o incidenti, modificando il testo del Piano D’Azione per la Conservazione dell’Orso sulle Alpi (PACOBACE), che prevede la possibilità di abbattimento anche in caso di orsi che hanno semplicemente fatto ciò che la natura gli ha insegnato.

La montagna è la casa degli orsi, con cui si può convivere conoscendo e seguendo semplici regole, come restare sui sentieri, parlare a voce alta, tenere il proprio cane al guinzaglio, non avvicinarsi alla fauna selvatica, restare fermi e non colpire gli animali in caso dei rari incontri ravvicinati.

 

 

Le prove in un recente studio su piccoli invertebrati del polo sud.


"Vi sono prove che le microplastiche abbiano raggiunto le regioni più remote del pianeta". Così si apre l'articolo pubblicato sulla rivista scientifica Royal Society Biology Letters del team di ricerca coordinato da Elisa Bergami e Ilaria Corsi dell'Università di Siena, che ha dato la prima evidenza di contaminazione da microplastiche in animali terrestri antartici.

Prima di questa osservazione "vi erano ancora dubbi sulla presenza della plastica nelle reti alimentari terrestri antartiche" – continuano gli autori dello studio. Per trovare una risposta, i ricercatori hanno mosso i primi passi da un pezzo di polistirolo ritrovato nel 2016 sulle coste dell'isola antartica di re Giorgio (Shetland del Sud), ricoperto di alghe, muschi e licheni. A nutrirsi di questa microflora è un piccolo invertebrato lungo un paio di millimetri, il Cryptopygus antarcticus (del gruppo dei Collemboli, componente centrale della catena alimentare del suolo in tutte le aree del pianeta). Le analisi sugli esemplari di Collemboli rinvenuti sul materiale plastico – effettuate con la tecnologia di imaging con spettroscopia infrarossa presso Elettra Sincrotrone Trieste, struttura partner di CERIC-ERIC – hanno permesso di identificare la presenza di tracce di polistirolo nell'intestino di questi organismi superando le limitazioni attuali per l'analisi di microinvertebrati del suolo.

 

Uno studio dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Napoli, pubblicato su New Phytologist, propone un nuovo modello per il funzionamento del nodulo azoto-fissatore, l’organo radicale che nelle colture leguminose permette la conversione dell’azoto atmosferico in nutrienti utilizzabili dalle piante, rendendo i terreni agricoli più fertili

 

Pubblicato dalla rivista New Phytologist, uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Ibbr) coordinato da Maurizio Chiurazzi ha consentito di identificare un nuovo meccanismo di controllo per il corretto funzionamento del nodulo azoto-fissatore nelle piante leguminose. Il nodulo azoto-fissatore si forma grazie all’interazione tra le colture leguminose e il rizobio, un batterio che vive nei terreni e che può stabilire una simbiosi con le leguminose. Insediandosi nei noduli radicali della pianta, il rizobio permette la formazione di questo nuovo organo in grado di ridurre l’azoto atmosferico in nutrienti per la pianta.



Domani una liberazione a Sciacca e alle 11.00 la visita al CRAS di Policoro in diretta sulla pagina Facebook del WWF Italia

Domani, martedì 16 giugno, si celebra la Giornata Mondiale delle tartarughe marine, che coincide con il compleanno di Archie Carr, conosciuto nel mondo come “il padre della biologia delle tartarughe marine”, specie a cui ha dedicato la sua intera carriera di ricercatore. Questi animali abitano i nostri mari, nidificano sulle nostre coste e sono protagonisti di importanti progetti del WWF rivolti alla loro conservazione e tutela.

La salvaguardia delle tartarughe marine, per l’Italia in particolare della specie Caretta caretta, però, è possibile solo grazie al lavoro di esperti e volontari che, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie d’avanguardia, si occupano di recupero, cura, monitoraggio e protezione di nidi. Solo nel 2019 il WWF in Basilicata, Calabria, Toscana, Puglia e Sicilia ha coinvolto centinaia di volontari, affiancati da personale esperto, alla ricerca delle tracce di tartaruga marina. I volontari hanno monitorato più di 2.400 chilometri di costa tra Calabria, Basilicata e Puglia e circa 1.000 in Sicilia. 39 i nidi individuati nel 2019, che hanno portato verso il mare circa 2.200 tartarughini.


Un algoritmo può contribuire a preservare gli ecosistemi acquatici alpini, soprattutto in corrispondenza delle zone in cui si registra un’elevata affluenza turistica. A svilupparlo è stato un gruppo di ricercatori di Ecotossicologia dell'Università degli studi di Milano-Bicocca. Lo studio, dal titolo “Environmental risk classification of emerging contaminants in an alpine stream influenced by seasonal tourism” è stato pubblicato su “Ecological Indicators” (DOI: https://doi.org/10.1016/j.ecolind.2020.106428)

Attraverso l'algoritmo messo a punto dai ricercatori, è possibile prevedere la concentrazione di contaminanti emergenti, quali farmaci e prodotti per la cura della persona, che attraverso gli scarichi dei depuratori, raggiungono i torrenti a valle. I depuratori localizzati sulle Alpi, infatti, si ritrovano spesso a dover scaricare direttamente nei fiumi, non essendo stati progettati per gestire un’elevata produzione di reflui, che si verifica soprattutto durante la stagione invernale con un maggiore afflusso turistico. Durante l’inverno, la diluizione nei fiumi e nei torrenti è più bassa, a causa della prevalenza di precipitazioni nevose tipiche delle località di alta montagna che ne abbassano la portata. Minore è la diluizione nelle acque, maggiore sarà la concentrazione degli inquinanti.

 

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