Scienza generale (128)
Animali e salute: conoscere le specie aliene introdotte dall’uomo al di fuori del proprio ambiente naturale aiuta a prevenire nuove epidemie
07 Set 2022 Scritto da Università degli studi di Milano
Una ricerca dell’Università degli Studi di Milano delinea un quadro più chiaro sull’origine di malattie infettive derivanti dalle specie selvatiche, utile per identificare in anticipo possibili minacce per la sanità pubblica. La pubblicazione su Science of the Total Environment.
Il 60% delle malattie infettive umane proviene dagli animali, come le Invasive Alien Species (IAS), specie animali, dalla nutria allo scoiattolo grigio e al procione, volontariamente o accidentalmente introdotte dall’uomo al di fuori dal proprio areale naturale. Conoscere e comprendere i meccanismi all’origine di nuove infezioni da specie invasive significa identificare in anticipo nuovi focolai epidemici e rispondere in maniera tempestiva a potenziali emergenze di sanità pubblica. Sul tema interviene un recente lavoro, condotto da un team di ricerca coordinato da Nicola Ferrari, docente al dipartimento di Medicina veterinaria e scienze animali dell’Università Statale di Milano e pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, che ha delineato un quadro più chiaro delle informazioni epidemiologiche disponibili sulle IAS analizzando le conoscenze attuali presenti nella letteratura scientifica sul tema.
Pubblicato su Nature uno studio sui quark ‘charm’, che risolve una controversia scientifica di 40 anni: confermata l’ipotesi che questo quark sono componenti intrinseci dei protoni. Il lavoro, frutto della collaborazione NNPDF e guidato dall’Università Statale di Milano e INFN, è stato possibile grazie a innovative tecniche di machine learning. Importanti ricadute sulla fisica di precisione.
Un nuovo lavoro della collaborazione NNPDF (Neural Networks Parton Distribution Functions), guidata dall’Università degli Studi di Milano e dall’INFN, fa luce su una sorprendente caratteristica della struttura dei protoni. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, ha infatti determinato come anche i quark ‘charm’, insieme ai più noti e leggeri quark ‘up’ e quark ‘down’, siano da annoverarsi tra i componenti intrinseci di questi costituenti atomici, confermando un’ipotesi elaborata oltre 40 anni fa. Il risultato è stato ottenuto adottando innovative tecniche di machine learning, grazie alle quali è stato possibile analizzare e risolvere nel dettaglio la grande messe di dati prodotti dai collisori di particelle. Oltre a migliorare la comprensione della struttura dei protoni, ancora poco nota, lo studio contribuirà a rendere più accurata la descrizione teorica degli urti tra queste particelle, favorendo l’osservazione di possibili indizi di nuova fisica.
L’uso di semplici strumenti litici aumenta la qualità dell’alimentazione. Lo ha dimostrato un team interdisciplinare e intercontinentale, esaminando una popolazione di scimmie nel Nord-Est del Brasile. Ciò potrebbe essere accaduto anche nel corso dell’evoluzione umana. L’articolo “Stone tools improve diet quality in wild monkeys”, di cui è autrice fra gli altri Elisabetta Visalberghi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, è stato appena pubblicato su Current Biology.
I paleoantropologi sono da sempre interessati agli strumenti litici - gli unici sufficientemente durevoli da essere arrivati sino a noi ed essere studiati - utilizzati dalle varie specie di Homo (e non solo) che ci hanno preceduto. Negli anni ’60 del secolo scorso si scoprì che anche alcune popolazioni di scimpanzé usano strumenti e oggi sappiamo che anche i cebi e macachi ne sono capaci. A tutt’oggi però, nessun studio aveva esaminato se e come l’uso di strumenti migliori la dieta. Lo ha fatto ora un team interdisciplinare dislocato in quattro dei cinque continenti, esaminando il comportamento di una popolazione di cebi da molti anni oggetto di studio nel Nord-Est del Brasile. L’articolo “Stone tools improve diet quality in wild monkeys”, di cui è autrice fra gli altri Elisabetta Visalberghi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr, è stato appena pubblicato su Current Biology.
La memoria episodica dei delfini, così simile a quella umana, può aiutarci a capire l'evoluzione dei nostri ricordi
01 Ago 2022 Scritto da Università degli studi di Torino
Lunedì 25 luglio è stato pubblicato, sulla prestigiosa rivista Current Biology, uno studio di psicologia comparata intitolato Episodic-like memory in common bottlenose dolphins (Tursiops truncatus). Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge, in collaborazione con alcuni etologi marini del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università degli Studi di Torino e del Parco Zoomarine di Roma, ha scoperto che i delfini appartenenti alla specie Tursiops truncatus sono capaci, senza nessun bisogno di addestramento specifico, di ricordare informazioni su “dove” e su “chi” ha dato loro un oggetto. Questi risultati suggeriscono che i delfini, in modo simile agli umani, hanno una “memoria episodica” ovvero una memoria che contiene informazioni datate temporalmente e spazialmente.
Femmine e maschi, ecco come ricordiamo
01 Ago 2022 Scritto da Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbc)Uno studio sulle differenze nella memoria tra i due sessi, coordinato dall’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Cnr e dal Telethon Institute of Genetics and Medicine di Fondazione Telethon, in collaborazione con altri Istituti del Cnr e con altre strutture di ricerca, ha permesso di identificare il meccanismo cerebrale attraverso il quale si decide quante informazioni ricordare durante l’apprendimento spontaneo. La ricerca è pubblicata su Nature Communications
Cosa succede quando abbiamo tante informazioni da ricordare? Per anni abbiamo pensato che si potessero memorizzare ripetendo, studiando e ripassando. Ma cosa succede con le esperienze uniche, che non viviamo con l’intenzione di ricordarle? Per esempio, un ristorante dove abbiamo mangiato benissimo, del quale però non rammentiamo nome né indirizzo? Sull’argomento è stato pubblicato su Nature Communications uno studio, coordinato da Elvira De Leonibus dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbc) e del Telethon Institute of Genetics and Medicine (Tigem) della Fondazione Telethon, che ha rivelato come la quantità di informazioni influenzi la nostra capacità di ricordare a lungo termine in condizioni di apprendimento spontaneo.
I ricercatori svelano come le zanzare penetrano la pelle per arrivare ai vasi sanguigni. Si aprono interessanti prospettive per la lotta al fastidioso insetto.
Il tormento estivo delle punture di zanzare potrebbe ridursi presto. Questo l’auspicio dei risultati ottenuti nei laboratori di Paolo Gabrieli (Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano) e Federico Forneris (Dipartimento di Biologia e Biotecnologie, Università di Pavia), quest’ultimo rientrato dall’Olanda attraverso un finanziamento della Fondazione Armenise-Harvard. Si è scoperto infatti il meccanismo che consente alle zanzare di irrigidire il labbro (ossia il “pungiglione”) così da poter succhiare il sangue.
Tritone italiano. Credit Emiliano Mori
Uno studio internazionale a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr ha scoperto una correlazione profonda tra l’ambiente e il processo di invecchiamento di alcune specie che possono allocare maggiori quantità di energia alla sopravvivenza piuttosto che alla protezione dell’organismo, allungando la propria aspettativa di vita. La ricerca è pubblicata su Science
Il processo di invecchiamento, in alcune specie di rettili e anfibi, può dipendere direttamente dalle condizioni ambientali in cui si trovano. È quanto emerge da due studi, pubblicati sulla rivista Science e condotti da team internazionali, a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iret).
Nel primo lavoro, il gruppo di ricerca ha eseguito un’analisi comparativa dei tassi di invecchiamento e della durata della vita nei tetrapodi a sangue freddo, utilizzando i dati disponibili in letteratura su 77 specie e 107 popolazioni selvatiche di rettili e anfibi, tra cui tartarughe, serpenti e coccodrilli. In particolare, il Cnr-Iret ha studiato una popolazione di tritone crestato che vive sui Poggi di Prata, nelle colline metallifere del Grossetano.
“Le operazioni di monitoraggio hanno coperto un arco temporale di 19 anni in cui abbiamo cercato di capire in che modo la termoregolazione, la temperatura ambientale, il corredo genetico e il ritmo di vita contribuiscano all'invecchiamento degli animali”, spiega Emiliano Mori, ricercatore del Cnr-Iret. “Abbiamo così scoperto che le specie ectoterme, in cui la temperatura corporea dipende dall'ambiente esterno, mostrano una maggiore diversità di tassi di invecchiamento rispetto a quelle endoterme, la cui temperatura corporea è invece regolata dalla produzione di calore metabolico interno. Nelle prime la longevità media stimata varia da 1 a 137 anni, nei primati questo valore è compreso tra 4 e 84 anni”.
Pipistrelli e media: da diffusori di coronavirus a specie da proteggere
22 Giu 2022 Scritto da Università degli studi di Milano
Una ricerca promossa dalla Statale di Milano e coordinata dalla Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia ha dimostrato come la rappresentazione nei media dei pipistrelli ne abbia influenzato la loro sopravvivenza: dall’analisi di oltre 2.600 articoli dedicati a questi animali dal 2018 al 2020, i ricercatori hanno scoperto che articoli negativi hanno favorito la loro persecuzione, mentre i positivi ne hanno invece incentivato le azioni di conservazione.
Alla ricerca del suono perfetto: il caso dei violini Stradivari
04 Mag 2022 Scritto da Istituto nanoscienze del Cnr (Cnr-Nano), Scuola internazionale di liuteria “A. Stradivari” di Cremona, Politecnico di Milano, Università di Padova
Un esperimento coordinato dal Cnr ha messo a confronto il suono di diversi violini e individuato la combinazione di qualità sonore che rende più gradevole il suono di uno Stradivari. Lo studio è pubblicato su The Journal of the Acoustical Society of America.
Cosa rende il suono di un violino preferibile a quello di un altro? Alcuni violini di Stradivari hanno davvero un suono speciale? Per rispondere a queste domande, una squadra multidisciplinare coordinata dal Cnr ha coinvolto 70 liutai in un esperimento di ascolto per valutare le qualità sonore di quattro violini, tra i quali uno Stradivari. I risultati, pubblicati su The Journal of the Acoustical Society of America , suggeriscono che a rendere lo Stradivari il suono preferito sia un particolare equilibrio nelle proprietà del timbro dello strumento.
Identificate molecole con possibile attività feromonale nei primati
04 Gen 2022 Scritto da Cnr-Ispaam, Austrian Institute of Technology
Ipotetici feromoni identificati nei primati ed albero filogenetico di questi organismi
Nei primati l’uso di feromoni sessuali è oggetto di discussione. Nell’uomo mancano gli elementi anatomici e biochimici coinvolti in tale funzione. In particolare, non è presente una proteina dedicata al trasporto di feromoni in altre specie, a causa di una mutazione evolutiva già presente nel Neanderthal. Una collaborazione fra l’AIT di Tulln (Austria) ed il Cnr-Ispaam ha però ricostruito tale proteina mancante, individuando in sostanze con odore muschiato alcuni potenziali feromoni nei primati. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Biology and Evolution.
La comunicazione tra membri della stessa specie mediata dai feromoni, sostanze chimiche secrete da ghiandole specializzate, è molto diffusa tra gli organismi viventi, ma nelle scimmie antropomorfe e nell'uomo non vi è attualmente una sufficiente evidenza di tale fenomeno. Tra i primati, in particolare, i lemuri usano i feromoni per comunicare all'interno della specie, mentre tale capacità sembra essere persa in alcuni tipi di scimmie. La comunicazione feromonale nell'uomo sarebbe impedita dalla mancanza di strutture anatomiche dedicate e/o dal malfunzionamento di relazionati meccanismi molecolari. Sono infatti assenti l'organo vomeronasale, deputato in molti animali alla percezione dei feromoni, i relativi recettori, ed anche proteine trasportatrici di tali molecole, note come SAL o MUP, già identificate in mammiferi quali maiale e topo, dove la comunicazione sessuale attraverso segnali chimici è stata ampiamente dimostrata. Al fine di chiarire quale sarebbe potuto essere un ipotetico feromone in alcuni primati e nell'uomo, Giovanni Renzone, Simona Arena ed Andrea Scaloni dell’Istituto per il Sistema Produzione Animale in Ambiente Mediterraneo del Cnr di Portici hanno collaborato con Valeriia Zaremska, Isabella Fischer, Paolo Pelosi e Wolfgang Knoll dell'Austrian Institute of Technology di Tulln. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Biology and Evolution.
Scienzaonline con sottotitolo Sciencenew - Periodico
Autorizzazioni del Tribunale di Roma – diffusioni:
telematica quotidiana 229/2006 del 08/06/2006
mensile per mezzo stampa 293/2003 del 07/07/2003
Scienceonline, Autorizzazione del Tribunale di Roma 228/2006 del 29/05/06
Pubblicato a Roma – Via A. De Viti de Marco, 50 – Direttore Responsabile Guido Donati