Dino-Jean-Marc Barr è un uomo tormentato, che porta il peso di una sessualità deviata ma ama alla follia sua moglie Anna-Isabella Ferrari; eppure, non riesce a fare sesso con lei. Cerca, così, altrove, il piacere, frequentando prostitute e locali per scambisti e accoppiandosi con chiunque. Poi, una volta a casa dalla sua amata, tutto diventa lirico e puro - le scene di coppia sono ambientate in una camera da letto bianca, luminosa e scevra da connotazioni spazio-temporali. Nel loro paradiso i due si professano amore eterno ma neanche si sfiorano.
La frustrazione e il tormento di non riuscire a stare con la propria donna Anna-Isabella Ferrari - di cui ricordiamo qualche inquadratura accurata - non sono neppure accennati nel film di Franchi, a differenza della pellicola di McQueen, che vanta ben più alti presupposti. Perversione e sesso spinto non sono fini a se stessi in Shame; i due ragazzi del film di McQueen denunciano uno smarrimento e delle lacerazioni lontane nel tempo, che rappresentano il nucleo stesso del film e sulle quali è costruita una sapiente sceneggiatura.
La citazione iniziale del quadro di Courbet L’origine del mondo - un paio di gambe femminili nude e spalancate nel bel mezzo - non infastidisce nessuno. Il disturbo arriva dopo. Il lato cosiddetto scabroso del film risulta irritante nella misura in cui si rivela, man mano che scorrono le immagini, sprezzante del ridicolo, non perché è osè. Franchi esplora con pretese filosofiche i gironi del sesso hard ma, a conti fatti, suscita solo un’ilarità involontaria. Inizialmente, lo spettatore sorride e sopporta, poi, però, è costretto a gettare la spugna di fronte allo “spessore filosofico” di certe battute. La sceneggiatura, infatti, non aiuta i protagonisti, che recitano senz’anima, e trascina la pellicola in un baratro da cui non si solleverà. Battute quali: “una scopata non si nega a nessuno” passeranno sì alla storia ma non per lo stesso valore conferito al memorabile “Francamente me ne infischio” di Clarke Gable, in Via col vento, ad esempio.
Scene che non hanno la definizione di un porno e nemmeno la sensualità di un film erotico sono passate per film d’autore, secondo la motivazione dei premi assegnati. L’autore del film, forte della sua vittoria, si è difeso dalle critiche, appellandosi, con una buona dose di presunzione, ad un’ispirazione artistica pura che, in quanto tale, si rivolge a pochi e vuole, dunque, aprioristicamente interagire con pochi eletti.
In realtà, la struttura del film che mischia passato, presente e futuro, tra testimonianze, diapositive e monologhi fuori campo è apprezzabile. "Reiterare una scena significa rileggerla e mi sembrava interessante realizzare un racconto che, non sviluppandosi in senso longitudinale, raccontasse un tempo interiore", ha spiegato Franchi, in conferenza stampa. Altresì apprezzabili sono la fotografia ricercata e il montaggio ma, nonostante queste premesse che avrebbero potuto ben condurre il film oltre i confini Nostrani, il risultato è assai modesto.
A rincarare la dose della critica, si aggiunge il fatto che la pellicola abbia ricevuto finanziamenti pubblici e che la “mia” Puglia sia uno dei finanziatori. Dulcis in fundo, la vedova Pavarotti si è vantata del suo coraggio, per aver iniziato così la sua carriera di produttrice e Muller, sbeffeggiando tutta la critica italiana, decide di assegnare ben due premi alla pellicola. Cosa della pellicola abbia colpito il neodirettore resterà un insoluto mistero…
Infine, Valentina Cervi, uno dei giurati del festival, ha dichiarato: “E’ un film che ci è entrato nella pelle”. Chissà se il grande Gino sarebbe stato d’accordo!? È proprio vero che il comune senso del pudore non offre più alcun soccorso.