L'idea alla base dello studio è che l'eventuale presenza del SARS-CoV-2 nell'ambiente marino sia dovuta alle acque di scarico depurate del sistema fognario. Per verificare questa ipotesi sono state utilizzate tecniche di biologia molecolare che permettono di isolare e poi quantificare il numero di copie di RNA virale, l'acido nucleico del virus SARS-CoV-2 che porta l'informazione genetica ovvero tutti i passi che il virus deve far compiere alle cellule infettate comparabile ad un'azione di sabotaggio e dirottamento per la produzione del virus stesso e la conseguente morte della cellula infettata.
Dobbiamo considerare che una persona utilizza circa 250 litri di acqua al giorno che entrano nel sistema fognario e produce circa 130 grammi di feci al giorno. I soggetti malati nelle diverse fasi della patologia e i soggetti asintomatici positivi possono produrre nelle feci sino a 50 milioni di copie di RNA virale per grammo di feci. Si può ipotizzare che i virus possano poi entrare nel sistema marino attraverso le acque nere degli scarichi fognari. "Ricordiamo che in un litro di acqua di mare ci sono circa 1 miliardo di batteri e 10 miliardi di virus e che questi microorganismi non sono patogeni per l'uomo ma sono gli attori principali che insieme al fitoplancton mantengono funzionante l'ecosistema marino" precisa Cosimo Solidoro.
I ricercatori hanno analizzato i campioni marini con il sistema di RTqPCR sviluppato dall'Institut Pasteur di Parigi (Francia). "Abbiamo raccolto quasi due litri di acqua di mare da ciascun punto di campionamento, li abbiamo pre-filtrati per rimuovere i microrganismi più grandi (fitoplancton, zooplancton) e i detriti, trattandoli poi con il cloroformio" spiega Mauro Celussi, ricercatore dell'OGS.
"Le attività svolte rientrano nel programma del progetto interreg Italia Croazia AdSwim che ha l'obiettivo di studiare proprio la qualità delle acque marine"
"Dai campioni è stato estratto l'RNA totale e cioè l'RNA di tutte le specie che vivono nell'acqua di mare. Sono state quindi effettuate le quantificazioni delle abbondanze batteriche e virali dei campioni mediante la tecnica della citometria di flusso e infine effettuata l'analisi di RTqPCR" spiega Francesca Malfatti, professore associato dell'Università di Trieste.
Va ricordato che l'eventuale risultato positivo di queste analisi non fornisce informazioni sull'infettività qualora si trovasse il virione.
"Nelle prossime settimane intendiamo utilizzare un secondo protocollo di identificazione per confrontare i risultati ottenuti attraverso le due metodiche e confermare i dati ottenuti fino ad oggi" prosegue Alberto Pallavicini, professore associato dell'Università di Trieste.
"Continueremo i campionamenti nei 5 punti scelti lungo le coste del Friuli Venezia Giulia per monitorare l'evoluzione della situazione e poter offrire una maggior garanzia ai turisti che scelgono le coste del FVG a" conclude il direttore generale di OGS Paola Del Negro.
Lo studio ha coinvolto anche la San Diego State University e la Colorado State University.