Venerdì, 25 Settembre 2020
Venerdì, 25 Settembre 2020 08:54

Halt post-disturbance Logging in Forests

 

Burned eucalypt forest in Australia. Avoiding overall post-disturbance logging after such major disturbances can help to maintain biodiversity. (Photo: Simon Thorn)

 


Storms, fires, bark beetles: Many forests around the world are increasingly affected by these and other natural disturbances. It is common practice to eliminate the consequences of these disturbances – in other words, to harvest damaged trees as quickly as possible. Spruce trees attacked by bark beetles are removed from the forest, as are dryed beeches or trees thrown to the ground by storms.

"However, this practice is an additional disturbance that has a negative impact on biodiversity," says Dr. Simon Thorn, forest ecologist from Julius-Maximilians-Universität (JMU) Würzburg in Bavaria, Germany. During such logging operations, soil is damaged, most dead wood is removed and structures such as folded up root plates are lost. "That is why a certain proportion of such disturbed forests should be excluded from overall logging operations," Thorn says.

Pubblicato in Scienceonline

Common noctule bat | Photo: Anton Vlaschenko



Many animal species are currently changing their distribution range owing to global warming. The underlying mechanisms are still little known, especially in mammals. An international team of scientists led by the Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Leibniz-IZW) has now demonstrated that in the common noctule bat, one of the largest European bat species, the colonization of hibernacula progresses from lower to higher latitudes over successive generations of young animals – especially first-year males. Because of their relatively high reproduction rate and the long-distance dispersal of male juveniles, it is probably relatively easy for common noctules to adjust to global warming. For species with lower reproduction rates and a limited migratory potential of the young – the majority of European bat species – the future might not look as favourable when facing continuing global warming. The paper was published in the scientific journal "Biology Letters".

Pubblicato in Scienceonline

 

 


Le emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi rappresentano il 17 per cento delle emissioni totali dell’Ue, più di quelle di tutte le automobili e i furgoni in circolazione messi insieme. Senza una decisa riduzione del numero di animali allevati l’Ue non sarà in grado di raggiungere gli obiettivi definiti dell’Accordo di Parigi sul clima.

Lo rivela una nuova analisi di Greenpeace, secondo la quale le emissioni annuali degli allevamenti sono aumentate del 6 per cento tra il 2007 e il 2018. Tale aumento, l’equivalente di 39 milioni di tonnellate di CO2, equivale ad aggiungere 8,4 milioni di auto sulle strade europee.

“I numeri parlano chiaro: non possiamo evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica se a livello politico si continua a difendere a spada tratta la produzione intensiva di carne e latticini.” dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia. “L’Ue sta elaborando una nuova legge sul clima, aggiornando i suoi obiettivi climatici e definendo la PAC per i prossimi sette anni. La nostra analisi mostra chiaramente che un’azione credibile per il clima deve includere la fine delle sovvenzioni pubbliche per l’allevamento intensivo nella PAC e utilizzare piuttosto il denaro pubblico per sostenere la riduzione del numero di animali allevati e aiutare gli agricoltori a una vera e propria transizione”.

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Il team di studiosi del Dipartimento di Chimica e tecnologie del farmaco, in collaborazione con l’Università di Napoli Federico II e l'Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha evidenziato il ruolo adiuvante di alcuni micronutrienti contro l’infezione da SARS-CoV-2 e la potenzialità di componenti attivi come possibili precursori di farmaci. La review è stata pubblicata sulla rivista Foods
In risposta all’emergenza da COVID-19, gli studi volti a contrastarne la sua diffusione o a ridurre la sintomatologia e i rischi e a recuperare le condizioni di salute dell’organismo, hanno avuto una forte accelerazione, in particolare nelle aree medica, ingegneristica, diagnostica, psicologica, economica e antropologica mentre non è stato adeguatamente indagato il potenziale contributo degli alimenti sullo stato di salute.

Eppure, è ampiamente noto il ruolo strategico del cibo e quello dei suoi componenti - siano essi macro, micronutrienti o metaboliti secondari - nel mantenimento o nello sviluppo di uno stato generale di salute che, a sua volta, favorisce il contrasto alle infezioni, ivi incluse quelle virali contribuendo, nel contempo, ad attenuare l’eventuale sintomatologia derivante dalle patologie correlate.

Spinti da questi presupposti, il team di studiosi guidato da Luisa Mannina del Dipartimento di Chimica e tecnologie del farmaco della Sapienza, Alberto Ritieni e Michela Grosso dell’Università di Napoli Federico II e Maria Teresa Russo dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, afferenti al network nazionale della Chimica degli Alimenti (ITACHEMFOOD), ha valutato il ruolo degli alimenti nelle strategie adottate per affrontare l’attuale pandemia da COVID-19 causata dal virus SARS-CoV-2.

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COVID-19 is the most devastating pandemic in recent history. As with many emerging infectious diseases, it is of zoonotic origin, meaning that animals played a major role in the initial transmission events. Despite SARS-CoV-2 being highly adapted to jump from human to human, several animal species are naturally susceptible to SARS-CoV-2, including pets such as cats. In the present report, a cat from a family with several relatives affected by COVID-19 developed severe respiratory clinical signs, leading to humanitarian euthanasia. Due to the suspicion of a potential COVID-19 infection in the cat, different antemortem and postmortem tests were assayed. The clinical condition was finally attributed to a feline hypertrophic cardiomyopathy, but the animal was also infected by SARS-CoV-2.

Pubblicato in Scienceonline


Un consorzio internazionale di ricercatori, coordinati dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) e dalla Rockefeller University (New York), ha scoperto perché alcuni soggetti con COVID-19 sviluppano una forma particolarmente grave di malattia. I risultati contribuiscono anche a spiegare la ragione per cui i soggetti di sesso maschile contraggano forme gravi di malattia in misura maggiore rispetto alla popolazione femminile.

I risultati dello studio, pubblicati su due lavori apparsi oggi su "Science" (Auto-antibodies against type I IFNs in patients with life-
threatening COVID-19, DOI:10.1126/science.abd4585 e Inborn errors of type I IFN immunity in patients with life-threatening COVID-19, DOI: 10.1126/science.abd4570), dimostrano che difetti genetici e alterazioni immunologiche che compromettono la produzione di interferoni e la risposta cellulare a queste molecole sono alla base di forme molto gravi di COVID-19.

Pubblicato in Medicina
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