L’emergenza coronavirus ed il lockdown; diritto ad un equo indennizzo per i soggetti ai quali è stato, ed è, impedito di lavorare.

Associazione Professionale Cocconi & Cocconi, 04 Mag 2020

 

Come ben sappiamo, da marzo nel nostro Paese si è scatenata la tempesta perfetta.

Da una parte siamo stati il primo Paese, dopo la Cina, a sperimentare gli effetti della“pandemia”, dall’altro i nostri Governanti hanno ritenuto di adottare una serie di misure draconiane nel tentativo di contenere gli effetti del contagio le quali, oltre ad incidere sulla vita di tutti, hanno bloccato la maggior parte delle attività commerciali, professionali ed industriali del Paese.
Noi non vogliamo entrare, con questo contributo, nel merito dei provvedimenti adottati, tantomeno sull’opportunità e sull’efficacia degli stessi; sarebbero infatti considerazioni di carattere politico che non ci spettano, così come riteniamo che, anche a mente dell’art. 32 della Carta Costituzionale, le Autorità avessero il potere di intervenire. Altra questione è se hanno adottato, e se stanno adottando, i provvedimenti opportuni. Quello che però è certo, allo stato, è che, al di là del generale disagio contingente, e della limitazione della nostra libertà di cittadini, le conseguenze del blocco totale delle attività economiche avranno degli effetti disastrosi sull’economia dell’intero Paese, e letali per alcune categorie. A partire da molte attività professionali alla gran parte dei negozi e delle attività commerciali in generale, ai ristoranti, alle tavole calde, ai bar, alle discoteche, ai cinema, ai teatri; dalle fabbriche agli impianti sportivi, dalle palestre ai centri estetici, ai parrucchieri, fino agli artigiani, etc. etc.

E naturalmente saranno i più piccoli, o quelli di più recente apertura, e dunque meno solidi e strutturati, a pagare il prezzo più caro. Ed a nostro avviso, e come vedremo più approfonditamente nel prosieguo, se le Autorità avevano il potere di intervenire, e dunque il danno derivato dal lockdown imposto non può essere qualificato come giuridicamente ingiusto, e quindi i danneggiati non possono pretendere il risarcimento del danno patito e patiendo, è però anche vero che chi ha subito, come conseguenza diretta delle misure (legittime) adottate dall’Autorità, in nome dell’interesse collettivo, un danno, ha diritto ad essere, se non risarcito, almeno indennizzato.

Se così è, tre sono gli aspetti da disaminare:


i) l’effettiva sussistenza di un diritto all’indennizzo;
ii) la quantificazione dell’indennizzo;
iii) il Giudice competente.


i) Con riferimento alla sussistenza del diritto, va rilevato che nel nostro Ordinamento sono espressamente previste e disciplinate diverse ipotesi nelle quali l’Amministrazione, al fine di perseguire interessi generali nel legittimo svolgimento della propria attività, può arrecare danno a singoli individui o ad intere categorie, e sia obbligata dal Legislatore alla corresponsione di un indennizzo.
Si pensi, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, all’espropriazione per pubblica utilità, con riferimento alla quale l’art. 42, comma 3, della Costituzione prevede che “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”; ovvero alla normativa in materia di “equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo” di cui alla Legge n. 89 del 24.3.2001 (c.d. Legge Pinto), che pure pone a carico dello Stato un obbligo indennitario per danni cagionati nell’esercizio di un’attività lecita (giurisdizionale); ovvero ancora, alle ipotesi di “indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati” previste dalla Legge n. 210 del 25.2.1992.

Proprio con riferimento a tale ultima ipotesi va ricordato che il Legislatore ha disciplinato la riparazione dei danni derivanti da vaccinazioni obbligatorie, la cui imposizione alla collettività è sicuramente lecita, e nell’interesse generale, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 307 del 22.6.1990, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della Legge n. 51 del 4.2.1966, avente ad oggetto l’“obbligatorietà della vaccinazione poliomielitica”, nella parte in cui non prevedeva, a carico dello Stato, un’equa indennità per il caso, per quanto rarissimo, di gravi danni alla salute derivanti da
contagio o da altre malattie riconducibili alla vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria. In particolare, nella fattispecie, la Corte ha affermato la necessità di un corretto bilanciamento fra il valore della salute intesa come diritto individuale e come interesse collettivo, anche alla luce del principio di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, che impone il riconoscimento, in favore del danneggiato, di un equo ristoro del danno patito. Ed infatti, il disinteresse della collettività per il singolo che abbia subito un pregiudizio in nome della tutela di un interesse collettivo sarebbe evidentemente contrario ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Sulla base dei medesimi principi sopra esposti la Corte Costituzionale ha emesso altre sentenze* che, pur riferendosi ad ipotesi di indennizzo per danni cagionati da vaccinazioni obbligatorie oppure facoltative ma incentivate da campagne promosse dall’Autorità sanitaria, costituiscono un precedente determinante ai fini di una corretta disamina della fattispecie che in questa sede ci occupa, perché hanno affermato un principio generale in virtù del quale l’Amministrazione, quando lecitamente pregiudica un diritto o una libertà del singolo per tutelare un interesse della collettività, è tenuta ad un indennizzo a prescindere da un’espressa previsione normativa in tal senso. Nel caso in esame, i provvedimenti restrittivi dell’Autorità, nella parte in cui hanno disposto, per esempio, la sospensione delle attività commerciali al dettaglio, dei servizi di ristorazione e dei servizi alla persona, pur essendo stati legittimamente adottati allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, quindi nell’interesse di tutta la collettività, hanno però imposto ad alcune categorie di cittadini una limitazione alla libertà di iniziativa economica espressamente garantita dall’art. 41 della Costituzione.


Pertanto, sulla base dei sopra descritti principi di bilanciamento fra valori costituzionalmente garantiti e di solidarietà politica, economica e sociale, più volte affermati dalla Corte Costituzionale nelle pronunce sopra menzionate, è evidente che in favore dei cittadini danneggiati, la cui libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita è stata sacrificata per tutelare un interesse collettivo, dovrà essere riconosciuto un equo indennizzo da parte della collettività, e per essa da parte dello Stato, a prescindere dalla sussistenza o meno di una espressa previsione legislativa in tal senso.
Peraltro giova osservare che mentre nulla è stato ad oggi disposto a favore degli imprenditori, se non la possibilità di indebitarsi ulteriormente (ma i debiti vanno restituiti), per i lavoratori dipendenti sono stati previsti trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, e per i liberi professionisti titolari di partita I.V.A. e per i lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa un’indennità, seppur modesta ed in misura fissa, in presenza di determinati requisiti reddituali.


ii) Ancora, e passando al secondo punto, con riferimento alla quantificazione dell’indennizzo, la Corte Costituzionale, pur rilevando che tale valutazione spetta alla discrezionalità del Legislatore, ha comunque sottolineato che l’indennizzo deve essere “equo” e, quindi, non possa essere così esiguo da vanificare, riducendolo a un nome privo di concreto contenuto, il diritto all’indennizzo stesso, diritto che, dal punto di vista costituzionale, è stabilito nell’an ma non nel quantum (C. Cost., 26.2.1998, n. 27). Ed a nostro modesto avviso, e ragionando avendo in mente la fattispecie dell’esproprio,
la misura dell’indennizzo non può non tenere conto delle peculiarità della fattispecie concreta, e dunque andrebbe parametrata al fatturato o quantomeno ai costi sostenuti per tutta la durata del blocco o a causa del blocco stesso, che evidentemente cambieranno a seconda della tipologia e delle dimensioni dell’impresa colpita.


iii) Infine, ma non da ultimo, ed arrivando al terzo punto, e cioè alla tutela del diritto dell’imprenditore, o dell’artigiano, o del soggetto in genere, che sia stato danneggiato, a vedersi riconoscere un indennizzo da parte dello Stato, se in altri Ordinamenti lo stesso diritto potrebbe essere garantito mediante una class action, nel nostro ciò non è possibile in considerazione degli stringenti limiti che caratterizzano da noi attualmente l’azione di classe. Riteniamo pertanto che il diritto all’indennizzo possa essere tutelato solo mediante un’azione incardinata innanzi al Giudice Ordinario, in sede civile, atteso che le questioni afferenti i diritti soggettivi sono comunque di competenza del Giudice Ordinario, anche quando il fatto dal quale scaturisce il diritto ad ottenere l’indennizzo è un provvedimento amministrativo.


Avv. Maurizio Calamoneri    Avv. Giovanni M. Cocconi
Avv. Marco Saponara          Avv. Andrea Nervi


Associazione Professionale Cocconi & Cocconi, via Ciro Menotti 1, 00195 Roma
www.cocconi.eu

Ultima modifica il Lunedì, 04 Maggio 2020 08:50
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