Gli studi si sono concentrati in particolare sui resti ossei custoditi nel Sepolcreto della Cà Granda, rinvenuti durante alcuni scavi e analizzati con tecniche innovative di archeotossicologia, disciplina focalizzata sul rilevamento di evidenze chimico-analitiche nei resti ossei con l’obiettivo di far luce sulle pratiche terapeutiche di una determinata epoca. Il gruppo di studio ha analizzato nove encefali ben conservati assieme ai loro crani di origine. I risultati delle analisi tossicologiche, eseguite mediante cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa triplo-quadrupolo, hanno rilevato la presenza di molecole presenti nel papavero da oppio (Papaver somniferum), ovvero morfina, noscapina, papaverina e codeina, evidenziando la presenza dei principi attivi dell’oppio in sei dei nove soggetti sottoposti ad analisi. “L’Ospedale Maggiore di Milano del 1600, noto come La Ca’ Granda dei milanesi, è stato uno degli ospedali più importanti e innovativi di tutto il Rinascimento e dell’Età Moderna sia sul fronte italiano sia europeo”, spiega Gaia Giordano.
“Forniva infatti assistenza gratuita alla popolazione povera di Milano, aveva medici e chirurghi specializzati, strette norme igienico-sanitarie e un’ampia farmacopea ospedaliera: è proprio per questo che per noi è stato importante essere parte di un progetto di ricerca multidisciplinare per lo studio degli individui riportati alla luce grazie agli scavi”. “I risultati ottenuti in questo lavoro costituiscono il primo rapporto sul rilevamento di oppio in reperti ossei archeologici. Questi dati hanno contribuito a fare maggiore chiarezza sulle terapie farmacologiche somministrate ai pazienti della Ca’ Granda e hanno arricchito la conoscenza della comunità scientifica riguardo alle pratiche mediche e farmacologiche della Milano del 1600”, concludono Mirko Mattia e Lucie Biehler-Gomez, paleopatologa del LABANOF e co-autrice della pubblicazione.