I risultati sono i primi pubblicati dal COVID Human Genetic Effort, un progetto internazionale in corso che copre oltre 50 centri di sequenziamento e centinaia di ospedali e centri di ricerca in tutto il mondo. I partecipanti allo studio provengono da Asia, Europa, America Latina e Medio Oriente. Il consorzio nasce con l'obiettivo di identificare i fattori genetici e immunologici che possono spiegare il verificarsi di forme gravi di Covid-19. Nella ricerca sui meccanismi di immunità degli IFN di tipo I, che sono potenti molecole antivirali, il team ha identificato in alcuni pazienti anomalie genetiche che riducono la produzione di IFN di tipo I e, in altri, anticorpi autoimmuni che ne bloccano l'azione (rispettivamente, 3-4% e 10-11% delle forme gravi). Tra questi anche pazienti con la malattia genetica rara Incontinentia Pigmenti, che in circa il 25% dei casi presentano un’alta concentrazione di questi autoanticorpi.
“Il primo articolo pubblicato su Science descrive le anomalie genetiche in pazienti con forme gravi di Covid-19 a livello di 13 geni già noti per governare la risposta immunitaria controllata da IFN I contro il virus dell'influenza”, spiega Fusco. “Queste varianti genetiche sono presenti anche negli adulti che non sono stati malati prima. Indipendentemente dalla loro età, le persone con queste mutazioni sono maggiormente a rischio di sviluppare una forma molto grave di Covid-19. L'assunzione precoce di IFN di tipo 1 in questi pazienti potrebbe essere una via terapeutica: questi farmaci sono disponibili da oltre 30 anni e senza effetti collaterali evidenti se assunti per un breve periodo”.
Nel secondo studio i ricercatori mostrano, in più del 10% dei pazienti che sviluppano polmonite grave da infezione da SARS-CoV2, la presenza ad alti livelli di anticorpi diretti contro IFN di tipo I nel sangue di individui che neutralizzano l’effetto antivirale dell’IFN. “Questi autoanticorpi sono assenti nelle persone che sviluppano una forma lieve della malattia e rari nella popolazione generale: l'analisi di un campione di controllo di 1.227 persone sane ha permesso di valutare la prevalenza di autoanticorpi contro IFN di tipo 1 allo 0,33%, ovvero 15 volte inferiore a quello osservato nei pazienti con forme gravi”, precisa Ursini. “Queste persone potrebbero trarre beneficio dalla plasmaferesi (rimozione della parte liquida del sangue contenente in particolare globuli bianchi e anticorpi) o da altri trattamenti che possono ridurre la produzione di questi anticorpi da parte dei linfociti B”.
La seconda pubblicazione su Science ha permesso di comprendere l'incidenza della forma grave negli uomini e negli over 65, oltre che in una donna affetta da Incontinentia Pigmenti, una malattia genetica causata da una mutazione del gene NEMO sul cromosoma X. Questi dati suggeriscono che la produzione di questi anticorpi sia collegata a tale cromosoma. “Che si tratti di varianti genetiche che riducono la produzione di IFN di tipo I durante l'infezione o di anticorpi che li neutralizzano, questi deficit precedono l'infezione con il virus e spiegano la grave malattia. Queste due pubblicazioni evidenziano quindi il ruolo cruciale degli IFN di tipo I nella risposta immunitaria contro SARS-CoV2”, conclude Ursini.
Fonti:
Inborn errors of type I IFN immunity in patients with life-threatening COVID-19
Qian Zhang et al.
Science, 24 settembre 2020
https://science.sciencemag.org/content/early/2020/09/23/science.abd4570/tab-pdf
Auto-antibodies against type I IFNs in patients with life-threatening COVID-19
Paul Bastard et al.
Science, 24 settembre 2020
https://science.sciencemag.org/content/early/2020/09/23/science.abd4585