FENOFIBRATO, NUOVA ARMA CONTRO IL CORONAVIRUS
IL FARMACOLOGO CESARE SIRTORI: ‘DEMOLISCE’ I TRIGLICERIDI NEI POLMONI, DA ANNI LO USIAMO CONTRO L’ECCESSO DI GRASSI NEL FEGATO, IL MECCANISMO È LO STESSO’
Un gruppo di ricercatori israeliani della Hebrew University di Gerusalemme, in collaborazione con l’americano Mount Sinai Medical Center di New York, ha scoperto che un vecchio farmaco, notissimo e dai costi molto bassi, il fenofibrato, è in grado di inibire la capacità del Covid-19 di riprodursi nelle cellule dei polmoni. La notizia della scoperta di questa potenzialità sta avendo enorme eco nella comunità scientifica e sui media americani. Il farmaco è da anni utilizzato anche in Italia per abbassare il livello dei grassi nel sangue.
“E’ una scoperta molto interessante – commenta il prof. Cesare Sirtori, farmacologo clinico di fama mondiale e fondatore del centro per lo studio delle dislipidemie dell’Ospedale Niguarda di Milano -. Da anni utilizziamo il fenofibrato sui nostri pazienti per contrastare l’eccesso di trigliceridi nel fegato. Questa molecola, attraverso un meccanismo chiamato PPAR (perixomal proliferator activated receptor), è in grado di ridurre i grassi in eccesso nel fegato, riducendone così i livelli nel sangue. I ricercatori del gruppo israelo-americano hanno intuito che lo stesso effetto poteva verificarsi anche nei polmoni: demolire i grassi significa ridurre l’infiammazione, ottenendo in questo caso una netta remissione dei sintomi.”
La reazione metabolica nei primi giorni di dieta rivela se dimagriremo e quanto
La scoperta dell’Università di Pisa e del National Institutes of Health statunitense pubblicata sulla rivista scientifica Metabolism Clinical and Experimental
“Sono a dieta, perché non perdo peso?” è un dilemma a cui la maggior parte di noi non trova una risposta conclusiva. Per dare una spiegazione a questo problema comune nelle persone che iniziano una dieta, c’è un nuovo studio dell’Università di Pisa e del National Institutes of Health statunitense pubblicato sulla rivista scientifica “Metabolism Clinical and Experimental”.
In base ai risultati di questo ricerca è infatti la risposta metabolica all’inizio della dieta a determinare la perdita di peso a lungo termine. Dal punto di vista quantitativo, se il metabolismo si riduce di 100 kcal al giorno questo si traduce in media in 2 kg di peso non perso dopo sei settimane di dieta.
“Ognuno di noi possiede uno specifico profilo metabolico – spiega Paolo Piaggi, bioingegnere dell’Ateneo pisano e autore senior dello studio – alcuni soggetti hanno un metabolismo più “risparmiatore” rispetto ad altri, ossia riducono maggiormente il loro consumo energetico giornaliero quando diminuiscono il loro introito calorico come, ad esempio, durante una dieta ipocalorica. Questi soggetti tendono quindi a perdere meno peso nel tempo dato che il loro organismo riduce molto il suo consumo energetico, pertanto la dieta ipocalorica in questi soggetti perde la sua efficacia in termini di calo di peso corporeo nel corso del tempo”.
Te lo leggo negli occhi! Come gli stimoli politici influenzano la decisione di mentire agli altri
Un nuovo studio italiano, coordinato da un team di ricerca del Dipartimento di Psicologia della Sapienza, ha osservato l’influenza che volti e parole della politica possono avere sul comportamento morale degli elettori “indecisi”. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, sono stati ottenuti attraverso l’analisi del comportamento oculomotorio di un campione di persone prive di una convinzione ideologica precisa
Gli occhi non mentono perchè secondo alcuni sono lo specchio dell’anima.
Dal movimento oculare è possibile capire se una persona mentirà o dirà la verità e ottenere anche informazioni utili sulle ragioni e sulle modalità dell’uno o dell’altro comportamento e sulle relative conseguenze. È quanto ha dimostrato il team di ricerca composto da Michael Schepisi, Giuseppina Porciello, Salvatore Maria Aglioti e Maria Serena Panasiti del Dipartimento di Psicologia della Sapienza in un nuovo lavoro pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
L’obiettivo generale dello studio è stato quello di indagare se la presentazione di stimoli politici di diversa natura (volti di politici vs. parole ideologiche) e associati a diverse ideologie (sinistra vs. destra) potesse influenzare la tendenza di persone politicamente indecise a mentire. Inoltre, attraverso la registrazione dei movimenti oculari dei partecipanti è stato possibile avere un indice attentivo in grado di predire il processo decisionale che porta a tale comportamento.
Nello specifico, i risultati mostrano come alcune parole ideologiche (es. “condivisione”, “tolleranza”) possano essere utilizzate più efficacemente per veicolare messaggi che influiscono sul comportamento morale dei partecipanti, portandoli a mentire di più per l’interesse altrui e meno per quello personale.
Isoflavones in soybean help protect pigs against viral infections
Pigs that eat soybean as a regular part of their diet may be better protected against viral pathogens, a new study from University of Illinois shows. The researchers attribute the effect to isoflavones, a natural compound in soybeans.
Porcine reproductive and respiratory syndrome virus (PRRSV) is a widespread disease that costs U.S. swine producers around $650 million every year. There is evidence that feeding soy helps protect pigs against the disease, but it’s not clear why or how it works, says Ryan Dilger, co-author on the study and associate professor in the Department of Animal Sciences, Division of Nutritional Sciences, and Neuroscience Program at U of I. Dilger and his collaborators previously pointed to dietary soy isoflavones as the active ingredient, and they wanted to explore that hypothesis further.
“In this study, we’re looking specifically at isoflavones and whether they have a beneficial effect on the immune response,” Dilger says. “We wanted to understand how we can take a primary protein source in a diet that's already used for pigs and provide a practical way for producers to combat the endemic PRRSV.”
“Breaking” news! A new idea on how Earth’s outer shell first broke into tectonic plates
Figure 1. A snapshot of a model from the new work, showing the late stages of growth and coalescence of a new global fracture network. Fractures are in black / shadow, and colors show stresses (pink color denotes tensile stress, blue color denotes compressive stress).
The activity of the solid Earth – for example, volcanoes in Java, earthquakes in Japan, etc – is well understood within the context of the ~50-year-old theory of plate tectonics. This theory posits that Earth’s outer shell (Earth’s “lithosphere”) is subdivided into plates that move relative to each other, concentrating most activity along the boundaries between plates. It may be surprising, then, that the scientific community has no firm concept on how plate tectonics got started. This month, a new answer has been put forward by Dr. Alexander Webb of the Division of Earth and Planetary Science & Laboratory for Space Research at the University of Hong Kong, in collaboration with an international team in a paper published inNature Communications. Webb serves as corresponding author on the new work.
Dr. Webb and his team proposed that early Earth’s shell heated up, which caused expansion that generated cracks. These cracks grew and coalesced into a global network, subdividing early Earth’s shell into plates. They illustrated this idea via a series of numerical simulations, using a fracture mechanics code developed by the paper’s first author, Professor Chunan Tang of the Dalian University of Technology. Each simulation tracks the stress and deformation experienced by a thermally-expanding shell. The shells can generally withstand about 1 km of thermal expansion (Earth’s radius is ~6371 km), but additional expansion leads to fracture initiation and the rapid establishment of the global fracture network (Figure 1).
Premature babies: high exposure to noise in the incubator
"Sounds of Silence" study – making incubator noises audible
What do premature babies hear while lying in an incubator? That is the question addressed by an interdisciplinary team from the Medical University of Vienna, led by Vito Giordano (neuroscientist at the Division of Neonatology, Pediatric Intensive Care and Neuropediatrics at the Comprehensive Center for Pediatrics (CCP) of Medical University of Vienna) and by music physiologist Matthias Bertsch from the University of Music and the Performing Arts in the recent study "The Sound of Silence", published in the journal "Frontiers in Psychology". This study shows that premature babies are exposed to a high level of noise in the incubator, particularly if they are on respiratory support in the neonatal intensive care unit (NICU).
According to data from the World Health Organization (WHO), approximately 15 million babies a year are born prematurely, the proportion varying between 5% and 18% depending on the country of origin. Despite general improvements in intensive care medicine, many premature babies face life-long impairments. The intrauterine hearing experience differs strongly from the extrauterine auditory load encountered in a neonatal intensive care unit (NICU).
"It is primarily low frequency noises (note: below 500 Hz) that are transmitted and filtered through the mother's body. Several studies have indicated that the noise level inside the NICU repeatedly far exceeds the recommended threshold of 35 dB. Signals from monitoring equipment, loud talking, sudden opening of doors or medical procedures result in a high level of background noise and reach peak values well above 100 dB," explains Giordano.
New fabrics produced with antiviral properties
Brazilian textile companies have begun producing and marketing fabrics treated with silver and silica nanoparticles developed by the research groups at the Centre for Functional Materials (CDMF) and the Theoretical and Computational Chemistry Laboratory (QTC) at the Universitat Jaume I, in collaboration with the company Nanox Tecnologia, which provide the new fabrics with antibacterial, antifungal and antiviral properties with 99.99% effectiveness.
L'occhio del drone monitora la costa
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, con gli Istituti di scienze marine (Ismar) e di fisiologia clinica (Ifc) è impegnato in un innovativo progetto di monitoraggio del litorale toscano tramite drone, con il duplice obiettivo di analizzarne lo stato di salute e di quantificare l’accumulo e la distribuzione spaziale dei rifiuti presenti, compresi guanti e mascherine. I primi risultati sono disponibili in modalità open access su Remote Sensing
Un drone sorveglia le coste della Toscana: fornirà dati utili ad analizzare i rifiuti plastici presenti sulle spiagge, nonché a comprendere la penetrazione di specie vegetali invasive, e a verificare i cambiamenti della linea di costa dovuti a fenomeni erosivi, o alla presenza di fiumi e porti.
Il progetto, condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche con gli Istituti di scienze marine (Ismar) di Lerici (La Spezia) e di fisiologia clinica (Ifc) di Pisa, è unico nel suo genere: le prime ricognizioni condotte dal gruppo ReFly del Cnr-Ifc hanno riguardato il litorale di San Rossore, area naturale protetta delle province di Pisa e Lucca, permettendo di acquisire una serie di dati relativi al riconoscimento, classificazione e conteggio degli oggetti antropogenici ivi spiaggiati. I risultati, analizzati in collaborazione con l’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr, sono pubblicati su Remote Sensing.
“La plastica e noi”: nuova esposizione al Museo di Storia Naturale
Lunedì 20 luglio anteprima in streaming per presentare la nuova esposizione dedicata al tema dell’inquinamento da plastica in mare
Con un evento online, il Museo di Storia Naturale presenta in anteprima al pubblico la nuova mostra temporanea “La plastica e noi”, realizzata in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine (ISMAR – CNR) di Lerici e con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Roma 2) sede di Portovenere.
Sarà possibile seguire l’evento in streaming sui canali facebook e Youtube del Museo e sul canale facebook dell’Ateneo il giorno lunedì 20 luglio alle 16.30 (link per la diretta Youtube: https://bit.ly/2DEYMbb).
L’inquinamento da plastica in mare è un problema globale che riguarda molti aspetti della nostra vita, dalla salvaguardia ambientale alla salute umana. Oltre a presentare i dati più rilevanti sull’inquinamento e alcuni risultati delle ultime ricerche svolte sulle nostre spiagge, la mostra invita a riflettere sul nostro rapporto con la plastica, sui danni che può causare all'ecosistema e su cosa possiamo fare per limitarli. Accompagnando i visitatori lungo l’intero percorso della Galleria dei cetacei del Museo, “La plastica e noi” vuole essere allo stesso tempo una provocazione e un’occasione per prendere coscienza del problema e limitare la quantità di plastica che noi stessi produciamo ogni giorno.
Le forme dell'acqua
Un nuovo studio numerico, risultato di una collaborazione tra la Sapienza Università di Roma e la Princeton University, ha dimostrato per la prima volta l’esistenza di due diverse forme di acqua, ovvero di due distinte fasi liquide che a bassissime temperature si separano, galleggiando l’una sull’altra. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Science, apre nuove strade alla comprensione dei misteri legati al liquido della vita
Ogni liquido assume la forma del contenitore che lo accoglie. Sappiamo che è così perché riusciamo a osservarlo direttamente con i nostri occhi. Eppure questa affermazione vale solo a livello macroscopico. A livello molecolare infatti ogni liquido ha una forma propria determinata dalla posizione spaziale in cui si dispongono le molecole che lo compongono.
L'acqua, il liquido della vita, potrebbe invece essere differente e avere, non una, ma bensì due forme molecolari diverse: una forma in cui localmente ogni molecola è circondata da quattro altre molecole disposte con una geometria tetraedrica (ordinata) e con le quali forma dei legami particolarmente intensi (i legami idrogeno), e una in cui la struttura tetraedrica invece è significativamente distorta, ovvero una configurazione più disordinata, in cui alcune molecole formano solo tre o cinque legami idrogeno.