Il merito di Darwin consiste probabilmnte nell’aver dato una compiuta e sistematica teoria scientifica al trasformismo biologico fondandola su un numero enorme di osservazioni, e di averla presentata proprio nel momento in cui l’idea romantica del progresso si affermava nella sua massima universalità.
Da molti anni, infatti, una schiera di filosofi e di scienziati era sistematicamente impegnata nella ricerca delle origini dell’uomo e del mondo: già Johann Wolfgang Goethe (1749 – 1832) si era dedicato a risolvere il quesito sul Tempo e sul divenire della Natura, esprimendo in versi (Metamorfosi delle piante, 1798) il senso di un tutto organico nella storia 1. Nello stesso periodo storico, inoltre, studiosi e avventurieri moltiplicavano i viaggi verso ignote destinazioni: tra questi, troviamo Wilhelm von Humboldt (1767 – 1835) il quale, tra le altre cose, si dedicò allo studio della glottologia alla ricerca di una “struttura interna” delle lingue primitive (Intorno alle differenze strutturali del linguaggio umano, pubblicato postumo nel 1836, analizzava il linguaggio parlato nell’isola di Giava). Anche Georg Forster (1754 – 1794) e Thomas Cook (1808 – 1892) avevano pubblicato un dettagliato diario di bordo che fu tra le letture preferite del giovane Darwin, insieme all’opera Kosmos di Alexander von Humboldt (1769 – 1859): quest’ultimo, nel confrontare i fattori fisici e sociali delle zone esplorate, gettò i primi semi della scienza “biocenotica”.
Nel frattempo, a livello culturale, la visione della natura di stampo romantico (espressa soprattutto dalla Naturphilosophie) si accingeva a subire una trasformazione, in un’epoca contrassegnata da approcci più empirici, pragmatici e razionali, dettati dalla necessità di trarre frutto (anche economico, dato l’affermarsi del colonialismo) dalle circumnavigazioni del mondo.
La spinta all’ascesa ideale dell’uomo 2 fu presto soppiantata, soprattutto in ambito anglosassone, dallo studio che, ripercorrendo a ritroso le tappe della storia della Terra e dell’uomo, portò non soltanto ad una profonda ridefinizione del concetto di “Tempo” ma ad un percorso che sarebbe culminato nelle teorie evoluzioniste.
I saggi “antenati”
La teoria biologica della trasformazione della specie elaborata da Jean Baptiste Lamarck (1744 – 1829), il fondatore del “trasformismo biologico”, può considerarsi il punto di partenza di questa particolare rivoluzione che avrebbe “detronizzato” l’essere umano come anello principale della creazione 3. A sua volta Lamarck era stato preceduto da illustri personaggi, quali Benoit de Maillet (1656 – 1738), che aveva definito i fossili “la più grande biblioteca del mondo” 4, Karl von Linné (alla storia Linneus, 1707 – 1778) ed il suo Systema Naturae immensamente popolare in Inghilterra, ed infine Georges Louis Leclerc, conte di Buffon (1707 – 1788) che nella Histoire Naturelle (1749) accennò ad un processo di sopravvivenza del più adatto, secondo la teoria della “degenerazione” (mutamento di una forma vivente verso un nuovo “stampo”, la moule) in difesa di un equilibrio ecologico e del complesso rapporto presenza di vita/presenza di risorse.
Seguendo il principio che “il grande artefice della natura è il tempo” (Buffon), Erasmus Darwin (1731 – 1802), nonno di Charles, si dedicò ad osservare i processi di adattamento e relazioni ecologiche tra forme di vita differenti; autore della Zoonomia (1794), The Botanic Garden (1791, dedicato alla ricerca delle cause dei mutamenti organici) e The Temple of Nature (1803), egli narrava di una terribile guerra per la sopravvivenza in una Terra antica di “milioni di secoli”.
Contemporaneamente agli studi biologici, si affermavano intanto importanti scoperte di stampo geologico: fu James Hutton (1726 – 1797) a sostenere che gli strati terrestri in cui si reperivano le conchiglie fossili erano il risultato dei fenomeni di subsidenza e regressione di un mondo in perenne trasformazione, la cui capacità di vita era dimostrata dalla sua stessa corruttibilità, e il cui continuo divenire non permetteva “né vestigia di un principio, né indizi di una fine”.
Egli pubblicò interamente la sua Theory of the Earth nel 1795, gettando le basi per l’uniformismo di Charles Lyell (1797–1875) 5.
Nel frattempo, l’ingegnere topografo William Smith (1769 – 1839), incaricato di scandagliare suoli per la progettazione di canali (l’Inghilterra doveva ben trasportare le sue merci) aveva pubblicato la Carta geologica dell’Inghilterra (1815) ed aveva scoperto che la sovrapposizione degli strati terrestri e la conseguente stratificazione dei fossili, avrebbero permesso, a seconda della loro posizione, di ricostruire vite estinte o mutate, raccontando all’uomo la storia naturale della Terra.
In tale quadro di ricerche, seguite con interesse dal pubblico colto dell’epoca, si inserisce l’opera condotta dal barone Georges Cuvier (1769-1832), cui va il merito di aver ricostruito i “suoi” vetusti rettili alati, e gli altri misteriosi scheletri rinvenuti in gran numero presso le cave del Bacino di Parigi, e di aver suddiviso gli animali in quattro gruppi distinti su base anatomica (Vertebrati, Molluschi, Articolati e Radiati).
I tempi erano ormai maturi: la scena finale di questa lunga e paziente opera verso l’evoluzionismo si svolse a Londra nel 1858, presso la Linnean Society, quando Charles Darwin e Alfred Russel Wallace presentarono, in lettura congiunta, la teoria cui erano entrambi pervenuti dopo viaggi, e dopo anni di osservazioni e classificazioni, nonché molte impronte sul sentiero lasciate dai loro predecessori.
Il viaggio nei Mari del Sud
Quando Charles Darwin (1809 – 1892) si imbarcò sulla nave Beagle, nel 1831, aveva già con sé tutte le conoscenze utili ad elaborare le esperienze di viaggio: furono tuttavia necessari cinque anni di isolamento, di puntuali annotazioni nel suo diario, ed una buona dose di genialità, per trovare il “bandolo della matassa”. Egli studiò come la natura univa “le lucertole ai serpenti”, o dotava gli uccelli di “ali per fini diversi dal volo”, ma fu esplorando l’interno del Sudamerica che venne attratto dalla modificazione di una singola specie più che dalla creazione separata di nuove forme, già osservate e tra loro poco differenti: si fece strada in lui l’idea di quanto gli animali esistenti fossero morfologicamente correlati alle specie estinte. Quando, nel 1835, sbarcò nelle isole Galapagos aveva ben presente sia la lenta variazione di forma fra specie affini, sia la somiglianza fra organismi di epoche diverse, o viventi in condizioni diverse (in totale contrasto con l’idea di creazioni distinte e prive di relazioni fra loro). L’arcipelago delle Galapagos, luogo limitato, offriva un paesaggio di lava, rettili e tartarughe enormi, dall’aspetto “antichissimo”: affascinato dall’enigma di questo arcipelago, egli raccolse ogni esemplare possibile, ma commise l’errore di non dividerlo per ciascuna isola. Egli dovette poi ammettere (una volta analizzato lo sviluppo dissimile tra organismi affini e posti in zone vicinissime fra loro) le leggi della divergenza, già studiate da Thomas Robert Malthus (1766 – 1834). Rientrato in patria, si stabilì nel 1837 a Londra lavorando presso la Geological Society, incarico abbandonato per ragioni di salute nel 1842: si ritirò nella tenuta di Down per il resto della sua vita, continuando a studiare e ricomporre le parti del grande mosaico.
L’Origine della specie (1859) era stata preceduta da altri saggi sull’argomento, nel 1842 e nel 1844, in cui già si esponeva il principio della variazione casuale, pur riconoscendo nell’ambiente un “fattore stimolante” in grado di introdurre quelle variazioni, selezionate nella fase della lotta per l’esistenza, e conservate mediante la trasmissibilità genetica dei caratteri acquisiti dall’animale nel corso della vita. La variabilità allo stato selvaggio veniva accettata per esposizione casuale a influenze di tipo esterno che, associate all’isolamento geografico, avrebbero permesso l’evoluzione della specie. Darwin era giunto a questa conclusione anche sulla base di esperienze dirette, ed assai casalinghe, nell’allevamento di piccioni: la differenza tra l’addomesticamento e la selezione naturale era, pessimisticamente, a svantaggio di quest’ultima, perché allo stato domestico si presentavano variazioni utili e in tale quantità che “nella complessa battaglia della vita dovrebbero presentarsi nel corso di migliaia di generazioni” 6. L’interesse degli evoluzionisti si era definitivamente spostato sull’uomo, e benché il ritrovamento del Pithecantropus erectus (ad opera di Eugène Dubois nel 1891 a Giava) non rappresentasse la sperata forma di transizione tra scimmie antropomorfe e l’uomo, si continuò ugualmente l’affannosa ricerca delle origini dell’uomo, esplorando le tribù primitive. Alfred Russell Wallace (1823 – 1913), durante i suoi viaggi in Sudamerica, in Oriente, e in particolare nelle isole della Malesia, ebbe modo di considerare, con una punta di perplessità, che “quante più popolazioni non civilizzate vedo, tanto meglio imparo a conoscere la natura umana, e tanto più le differenze essenziali fra uomini civilizzati e selvaggi mi sembrano svanire”.
La rivoluzione scientifica del darwinismo aveva ribaltato le certezze introducendo il meccanismo incontrollabile della casualità e del concetto di “lotta per l’esistenza”, e facendo risaltare l’elemento animalesco dell’uomo, il cui livello di civilizzazione avrebbe dovuto essere, da quel punto in poi, consapevolmente funzionale alla perpetuazione della propria specie.
Con uno humor tipicamente anglosassone, dopo oltre cinquant’anni, H. S. Harrison scrisse che “l’uomo stava benissimo prima di essere uomo e nessuno ha fornito una ragione per cui avrebbe dovuto cessare di essere una scimmia. Stiamo sforzandoci di capire in che modo l’uomo naturale è diventato innaturale” (1930).
Note:
1 - “Tutte le forme sono affini, e niuna somiglia all’altra; così allude il coro ad una legge occulta”, J.W. Goethe, Metamorphose der Pflanzen, trad. Rinaldo Küfferle, in “Botanica”, 1817. Goethe aveva elaborato la teoria della “pianta primitiva” (Urpflanze), struttura primigenia da cui sarebbero derivate tutte le piante.
2 - Nella Scala naturae, che aveva dominato la cultura del Seicento e del Settecento, infatti, l’essere umano percorreva la strada della sua stessa ascesa, perfezionandosi dalla forma più semplice fino alla inesauribile complessità della mente dell’individuo, un Homo duplex dalla natura insieme animale e spirituale.
3 - v. Loren Eiseley, Il secolo di Darwin, Feltrinelli, MI, 1975; Frank Egerton, A bibliographical guide to the history of general ecology and population ecology, in “Historical Science, XV, 1977, Arthur O. Lovejoy, La grande catena dell’essere, MI, Feltrinelli, 1981
4 - Egli accennava alla transizione di alcuni animali da marini a terrestri (gli anfibi), alla presenza di oscure “forme umane priva della parola” nel Madagascar o gli oranghi delle Indie olandesi, e nella scoperta di “atomi organici” osservabili al microscopio, di cui si chiedeva l’origine: i Protozoi, antenati “narrativi” dei pangeni di Darwin.
5 - Riferendosi al lento e graduale processo di trasformazione della Terra.
6 - Nel 1868 pubblicò la Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, in cui esponeva la teoria della trasmissione ereditaria corpuscolare detta “pangenesi”, ovvero la costruzione di un potenziale individuo dalle cellule somatiche di un organismo esistente; le “gemmule” si raccoglievano, trasportate dal sangue, nelle cellule sessuali dell’organismo, creando un materiale di volta in volta nuovo per ciascun individuo. Ciò avrebbe assicurato all’infinito, secondo Darwin, la trasmissione ereditaria di modificazioni per adattamento.
Luisa Sisti