Gli organi vitali come i muscoli, il cuore e il cervello per funzionare hanno bisogno di proteine, i canali ionici, che regolano il passaggio di ioni come potassio o sodio attraverso la membrana delle cellule grazie a un meccanismo controllato di apertura e chiusura definito “gating”.
Redazione
Realizzato un modello per l’analisi automatizzata delle immagini Tac mediante algoritmi di intelligenza artificiale. La ricerca è frutto di una collaborazione tra Cnr-Iccom, Università di Firenze, A.O.U. Careggi, Azienda Usl Toscana centro, Istituto Superiore di Sanità, Fondazione Bruno Kessler e Uniser Pistoia. Pubblicata sul Journal of Medical Imaging, permetterà di perfezionare i livelli di radiazioni da somministrare ai pazienti.
Un gruppo di ricercatori, fisici medici e radiologi del Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Firenze, dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi, e dell’Azienda Usl Toscana centro, guidato dalla dott.ssa Sandra Doria dell’Istituto di chimica dei composti organo metallici del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Iccom), è riuscito ad automatizzare il processo di valutazione della qualità d’immagine negli esami di tomografia computerizzata (Tc) utilizzando l’intelligenza artificiale, allo scopo di ridurre le radiazioni al paziente. Al progetto, la cui modalità è stata descritta in uno studio pubblicato sul Journal of Medical Imaging (JMI), hanno collaborato anche l’Istituto superiore di sanità e la Fondazione Bruno Kessler di Trento, utilizzando le risorse computazionali messe a disposizione da Uniser Pistoia.
Pubblicato su «PNAS» lo studio dell’Università di Padova e della Fondazione Museo Civico di Rovereto in cui si dimostra come la maggioranza delle piante delle Alpi nord orientali italiane si sposta verso quote più alte come risposta ai cambiamenti climatici. Il Bromus erectus, ad esempio, negli ultimi trent’anni si è spostato con una velocità di circa 3 metri l’anno.
Il Sorghum halepense, una specie aliena, si è spostato con una velocità di 4 metri l’anno. Diverso è il caso della Pulsatilla montana, specie rara, che ha retratto la sua distribuzione storica di circa 50 metri nei trent’anni. Le piante aliene, soprattutto negli ambienti antropizzati, sono molto veloci a crescere e sottraggono le risorse alle altre specie autoctone. È stata pubblicata sulla rivista internazionale «Proceedings of the National Academy of Sciences» (PNAS) la ricerca dal titolo “Red-listed plants are contracting their elevational range faster than common plants in the European Alps” firmato dal professor Lorenzo Marini e dalla dottoressa Costanza Geppert del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’Università di Padova insieme ad Alessio Bertolli e Filippo Prosser, botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto, sulle variazioni della distribuzione geografica delle piante alpine in base ai cambiamenti a lungo termine delle temperature.
Nel sito di Nyayanga, in Kenya occidentale, sono stati ritrovati esempi di industria litica olduvaiana risalenti a circa 3 milioni di anni fa. Le analisi dei reperti litici, condotte presso il Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, dimostrano l’utilizzo di strumenti innovativi per la lavorazione di una vasta gamma di materiali e per il consumo di animali di grandi dimensioni da parte degli hominins. Lo studio è pubblicato sulla rivista Science
Nyayanga è una località archeologica presso l’Homa Peninsula, nel Kenya occidentale, caratterizzata da un ambiente ricco di depositi fluviali e lacustri risalenti a oltre 6 milioni di anni fa.
Un nuovo studio internazionale, a cui ha preso parte il Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, documenta le ricerche condotte in questo sito dove sono stati ritrovati i più antichi esempi di innovazione tecnologica, conosciuta come industria litica olduvaiana, risalenti a circa 2,9 milioni di anni fa. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Science, hanno permesso la ricostruzione della paleodieta, ma anche di parte dell’ambiente geografico e dell’ecosistema degli ominidi.
Membrane nanofibrose contenenti sensori ottici in combinazione con metodi di modellazione inversa basata su vincoli consentono di quantificare in modo non invasivo il flusso metabolico alla risoluzione di una singola cellula e le conseguenti interazioni c
Uno studio internazionale coordinato dall’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche ha messo a punto una nuova piattaforma per replicare, in modo non invasivo e accurato, l’ecosistema metabolico cellulare che sostiene lo sviluppo dei tumori, in particolare quello del pancreas. Questa piattaforma consentirà di individuare i più efficaci trattamenti farmacologici per contrastare l’insorgenza e lo sviluppo di tali malattie. Lo studio è pubblicato sulla rivista ACS Nano
Una ricerca, pubblicata sulla rivista Acs Nano, condotta dai ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce (Cnr-Nanotec) in collaborazione con l’Instituto Biofisika (Spagna), la Fondazione Ikerbasque (Spagna), l‘Istituto Italiano per la Medicina Genomica - IIGM - ente strumentale della Fondazione Compagnia di San Paolo, il Politecnico di Torino, l’Università del Salento (Lecce) e l’Istituto tumori ‘Giovanni Paolo II’ Ircss di Bari, ha visto la realizzazione di una nuova piattaforma che ricostruisce l’ecosistema che sta alla base dello sviluppo dei tumori, partendo dall’analisi del metabolismo delle cellule. Questo tipo di studi, focalizzato sulle singole cellule, viene applicato in diversi ambiti, nelle patologie tumorali, nell’immunologia e nella neurologia, ed è importante perché individua meccanismi che non sarebbero identificabili attraverso indagini eseguite sull’intera popolazione cellulare. Tuttavia, le tecniche che attualmente vengono utilizzate per la misurazione delle caratteristiche metaboliche delle cellule sono molto spesso costose e invasive.
Anche i fiumi ‘respirano’, giocando un ruolo centrale nel ciclo del carbonio globale. A far luce sul contributo degli ecosistemi fluviali agli scambi con l’atmosfera di ossigeno e gas a effetto serra è uno studio pubblicato oggi su Nature da un team internazionale a cui ha collaborato l’italiano Enrico Bertuzzo, professore di Idrologia all’Università Ca’ Foscari Venezia.
La ricerca ha riesaminato la nostra attuale conoscenza sui flussi di carbonio nel sistema fluviale globale, dimostrando il loro ruolo centrale nel ciclo del carbonio e proponendo la creazione di un Sistema globale di osservazione dei fiumi.
Fino a tempi recenti, la nostra conoscenza del ciclo globale del carbonio era limitata agli oceani e agli ecosistemi terrestri. Il gruppo di ricerca guidato da Tom Battin, a capo del River Ecosystems Laboratory (RIVER) dell’EPFL, ha per la prima volta combinato i dati più recenti per dimostrare la grande importanza degli ecosistemi fluviali per i flussi di carbonio, integrando terra, atmosfera e oceani.
Il progetto Aule Natura del WWF Italia, che in due anni ha già riqualificato 5.000 metri quadrati di giardini scolastici prima inutilizzati o degradati, si digitalizza nella sua versione 4.0, per essere anche in linea con il Piano del Ministero dell’Istruzione “Scuola 4.0” per la trasformazione delle classi tradizionali in ambienti innovativi di apprendimento.
Nei capoluoghi di provincia in media ci sono 7,5 metri quadri di giardini scolastici per ciascun minorenne, ma circa nel 40% dei capoluoghi del sud Italia ciascun minore ne ha meno di 3 metri quadrati
Il “verde scolastico” è una fonte quasi inesauribile di opportunità educative. Il WWF Italia lo sa da tempo e da due anni lo sta dimostrando attraverso il progetto Aule Natura, che trasforma i tradizionali cortili delle scuole in piccole oasi di natura dove lo studio dell’ambiente e il suo rispetto sono ormai una pratica concreta, implementata grazie all’uso della tecnologia a supporto dell’osservazione e dell’approfondimento.
La piccola grotta nel Kurdistan iracheno dove è stata trovata la concrezione studiata
Uno studio condotto dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr e dall’Università Statale di Milano ha ricostruito il clima della Mesopotamia nei millenni passati, con l’obiettivo di comprendere quale ruolo abbia avuto nello sviluppo delle prime civiltà di agricoltori e allevatori del vicino Oriente, svelando che le variazioni climatiche hanno influito in modo limitato nelle dinamiche delle comunità. La ricerca è pubblicata su Scientific Reports.
Uno studio sul campo condotto da ricercatori dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Igg) e dall’Università Statale di Milano ha ricostruito e analizzato il clima che ha caratterizzato nei millenni passati la Mesopotamia – cioè la regione compresa tra gli attuali Iraq, Iran, Turchia e Siria - con l’obiettivo di comprendere quale ruolo abbia avuto nello sviluppo delle prime civiltà di agricoltori e allevatori del vicino Oriente.
L’Università di Pisa alla guida di un innovativo progetto di ricerca internazionale.
Entro il 2026 potremmo essere in grado di individuare precocemente il morbo di Parkinson sulla base di uno studio personalizzato del sonno. E questo grazie a NAP, l’innovativo progetto di ricerca coordinato dall’Università di Pisa e il cui inizio è fissato il 1° marzo 2023.
Finanziato con tre milioni di euro dal programma per la ricerca e l'innovazione dell'Unione Europea “Horizon Europe” – di cui 800.000 destinati all’Ateneo pisano -, il progetto NAP ha come obiettivo quello di utilizzare, per la prima volta in questo particolare campo di indagine, degli organoidi cerebrali, ossia dei modelli cellulari tridimensionali avanzati del cervello umano.
“Riuscire ad individuare per tempo il morbo di Parkinson, anche prima che inizino i tremori tipici, è fondamentale per controllare la malattia, gestirne l’evoluzione e garantire al paziente una miglior qualità della vita - spiega Chiara Magliaro, ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e il Centro di Ricerca ‘E. Piaggio’ e responsabile del progetto - Con la tecnologia che intendiamo sviluppare grazie al progetto NAP, sarà possibile farlo in maniera personalizzata”.
Giunto a conclusione un progetto condotto e finanziato dall’Università di Pisa per rilanciare questa coltura grazie ad un nuovo sequenziamento del genoma.
La coltura del fico, attualmente in declino in Italia ma economicamente molto redditizia, è la risposta ottimale per recuperare i terreni altrimenti persi per l’agricoltura. A questa conclusione è giunto il progetto “Ficus carica, un’ antica specie con grandi prospettive” finanziato e condotto dall’Università di Pisa che ha approfondito le conoscenze su questa pianta grazie ad un team di genetisti, chimici, fisiologi vegetali, entomologi, arboricoltori e analisti sensoriali del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali.
“Sin dall’antichità e anche oggi, soprattutto nei paesi meridionali del bacino Mediterraneo, il fico fornisce un importante alimento di base anche grazie alla sua grande produttività che dura sino a 50 anni con una produzione annuale di circa 40-100 chili per pianta - spiega la professoressa Barbara Conti coordinatrice del progetto - Tuttavia, In Italia la coltivazione del fico è in netto declino: nel 1960 occupava 60mila ettari, oggi solo 2.000, che producono l'1% della produzione mondiale e tutto questo a fronte di una costante crescita dei terreni salini marginali che nel nostro Paese sono oggi oltre 400mila ettari. Il rilancio di questa coltura è dunque strategico anche in considerazione del quindicesimo obiettivo dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite che punta a proteggere, ripristinare e promuovere l'uso sostenibile del suolo, in particolare foreste, paludi, montagne e zone aride”.
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