Affinché queste molecole terapeutiche raggiungano la cellula devono però essere “mascherate” perché altrimenti verrebbero riconosciute come agenti esterni e attaccate dal nostro sistema immunitario.
I ricercatori dell’Università di Trieste hanno quindi cercato un modo per “ingannare” la cellula creando due diversi tipi di vettori che utilizzano nanomateriali autoassemblanti: dei “mattoncini” che, ravvicinati, riescono a organizzarsi autonomamente attorno a questi acidi nucleici, nasconderli e trasportarli dentro le cellule in modo selettivo, come una sorta di cavallo di Troia.
Inoltre, i ricercatori hanno realizzato due nanoparticelle con caratteristiche diverse tra loro, l’una specifica per le terapie a base di RNA, l’altra per quelle a base di DNA. E’ un risultato molto importante perché queste molecole hanno meccanismi e caratteristiche diverse ed è necessario, affinché svolgano la loro funzione terapeutica in modo efficace, che il vettore sia costruito sulla base del modo con cui ciascuna di esse penetra nella cellula.
“Strumenti tailor-made che soddisfino requisiti specifici per diverse applicazioni sono di grande importanza nella ricerca biomedica.” – sottolinea Sabrina Pricl, professoressa di ingegneria chimica e responsabile scientifico del team Molecular Biology and Nanotechnology Laboratory (MolBNL@UniTS), presso l’Università degli studi di Trieste “Con questo studio siamo riusciti per la prima volta a creare due nanoparticelle estremamente selettive. Abbiamo studiato e capito come gli acidi nucleici a base RNA e DNA entrano nella cellula e creato il trasportatore “su misura” per ciascuna di esse, testandone l’efficacia sia in vitro che in vivo e verificandone una grande capacità terapeutica. E’ un importante traguardo per una medicina sempre più personalizzata.”
I prossimi passi nello sviluppo di questo filone di ricerca sono molteplici e riguarderanno soprattutto il portare a una dimensione industriale la produzione delle nanoparticelle, che richiede il soddisfacimento di una complessa serie di requisiti imposti dalla prassi relativa alla produzione di materiali per uso farmaceutico e la loro successiva possibilità di essere portati finalmente alla fase clinica di verifica.
Rispetto a questo ultimo punto, è già stata dimostrata in questo studio l’efficacia e la non tossicità delle nanoparticelle. Aggiunge Sabrina Pricl, professoressa di ingegneria chimica e responsabile scientifico del team Molecular Biology and Nanotechnology Laboratory dell’Università degli studi di Trieste: “Anche se, quando si tratta di nuove molecole di uso farmaceutico, è sempre molto difficile fare previsioni e non bisogna creare false illusioni, queste nanoparticelle sono promettenti per un ingresso nella pratica clinica in tempi rapidi. Vi sono due condizioni che favoriscono questa prospettiva: da una parte, un sistema di nanoparticelle è stato recentemente approvato velocemente in quanto farmaco orfano per una malattia genetica rara, la malattia di Fabry; dall’altra una richiesta ufficiale di sensibilizzazione verso una maggior regolamentazione e un miglioramento dell’iter approvativo dei sistemi nanotecnologici in campo terapeutico è stata consegnata alla Commissione Europea dall’ Azione COST “Cancer nanomedicine: from the bench to the bedside”, di cui sono chair, congiuntamente ad altri enti che includono, tra l’altro, associazioni di pazienti e enti di sorveglianza/vigilanza sui farmaci”.