Ma a quel tempo non si parlava di musicoterapia o di strategie mirate, della depressione non si sapeva nulla, ci si doveva convivere e basta, ma la qualità della vita di un depresso non è certo una condizione invidiabile. Eppure, per quanto concerne i musicisti che ne furono afflitti, nonostante le avversità della vita e la tristezza di quel male, la musica è stata la loro salvezza, e anche se non li ha guariti li ha fatti certo sentire meglio. Se così non fosse stato le immortali pagine che ci hanno lasciato non esisterebbero affatto.
Oggi invece è indubbio che la terapia delle sette note è un valido ed efficace aiuto – anche risolutivo - per chi si trova travolto dal male oscuro della depressione, e ci sono studi che dimostrano i benefici della musica in più e diversi casi e con distinti sistemi, dal solo ascolto alla partecipazione attiva le vie percorse sono risultate tutte positive.
A tale proposito i ricercatori del “Depression, Anxiety and Neurosis Group” della Cochrane Collaboration, coordinati dall’arteterapeuta Anna Maratos che lavora alla Central and Northwest London Foundation NHS Trust di Londra, hanno trovato 5 studi, di cui 4 mostrano una maggiore riduzione dei sintomi di depressione nei pazienti che erano stati trattati con la musica rispetto a quelli assegnati a un gruppo di terapia senza implicazioni musicali. Anna Maratos, commentando questa indagine ha detto che “per quanto pochi e di dimensioni limitate siano gli studi, essi sembrano comunque indicare una buona efficacia a fronte di un basso tasso di abbandoni prima della fine della terapia; il che, soprattutto in campo psichiatrico, è già un bel risultato”.
Gli interventi musicoterapici sono diversi, e variano a seconda dei casi: si parte dal suono inteso come farmaco in quanto tale per arrivare alle attività di gruppo atte a muovere emozioni sopite o risvegliare coscienze perdute, ma tutto è mirato ad un sano e necessario recupero del proprio benessere fisico e psichico.
La terapia musicale indirizzata alla cura della depressione implica un coinvolgimento totale del paziente, soprattutto perché si basa sul canto, e quindi sulla voce. L’uso della voce abbinato alla musica ha infatti grandi poteri curativi per il corpo e la mente, lo sanno bene gli psicologi, i logopedisti, i foniatri, i musicoterapeuti, e, soprattutto lo sanno i musicisti, i primi ad usare tale arte per sé stessi e per gli altri. Grazie al potere liberatorio della voce si possono aiutare e mitigare alcuni disturbi mentali, recuperare serenità e ritrovare una propria identità (problemi conosciuti ai depressi, che spesso vedono la propria vita inutile).
La depressione colpisce adulti e bambini, spesso adolescenti in forte conflitto di personalità, e la musica sa indirizzare le energie nella maniera giusta attraverso semplici regole, come la ricerca del ritmo (quindi dell’ordine e della volontà), la cura della melodia (l’affettività), l’attività di gruppo (il contatto con gli altri), e la collaboratività, tutti aspetti del sé che il depresso ha cancellato, o che comunque ha perduto.
In particolare le attività creative sono la chiave decisiva del problema, perché sono alla base dell’equilibrio psichico, dello sviluppo della personalità, del benessere e della sanità mentale. Del resto l’uomo è un animale sociale, e cantare, suonare e danzare sono le attività comunicative per eccellenza, oggi in grado anche di risolvere una patologia così grave come la depressione.
Addirittura laddove le parole sono inaccessibili (parliamo di stati comatosi, di gravi lesioni cerebrali o di autismo) la musica sa intervenire riabilitando lo stato di salute del paziente e restituendolo ad una vita migliore, perché, come affermò Debussy, “la musica comincia dove la parola è impotente”.
Marina Pinto