Lunedì, 03 Maggio 2021


Analizzati con un nuovo metodo presso i laboratori INGV i sedimenti argillosi provenienti dal margine di subduzione neozelandese di Hikurangi, zona in passato luogo di tsunami e terremoti.

I materiali argillosi delle faglie presenti nelle zone di subduzione, cioè dove una placca tettonica scivola al di sotto di un’altra placca, trattengono al loro interno un “cuscinetto d’acqua” e ciò fa sì che essi favoriscano terremoti potenzialmente capaci a provocare tsunami. Questo è il risultato dello studio “Fluid pressurisation and earthquake propagation in the Hikurangi subduction zone”, condotto grazie alla collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, le Università di Pisa e Padova, e la University College London, su alcuni campioni provenienti dalla zona di Hikurangi in Nuova Zelanda. Il lavoro è stato pubblicato di ‘Nature Communications’.
“Nelle zone di subduzione” spiega Stefano Aretusini, ricercatore dell’INGV e primo autore dello studio, “lo scivolamento sismico che avviene a profondità crostali ridotte può portare alla generazione di tsunami e terremoti. A causa delle difficoltà sperimentali nel deformare i materiali presenti in queste aree, i processi fisici che riducono la resistenza della spinta cui è sottoposta la faglia sono poco conosciuti.

Pubblicato in Geologia


Quanta acqua serve per produrre i chicchi di caffè che finiscono in una sola tazzina? E per un piatto di pasta o una semplice mela? Oggi è possibile saperlo con un semplice click grazie al progetto del Politecnico di Torino “Water To Food”: un progetto di comunicazione di dati e informazioni sull’impatto che la produzione e il commercio internazionale di cibo hanno sulle risorse idriche mondiali e locali. Nato dal progetto di ricerca europeo Coping with WAter Scarcity In a globalized world, CWASI, coordinato da Francesco Laio docente presso il Dipartimento di Ingegneria per l’ambiente, il territorio e le infrastrutture del Politecnico, Water to Food nasce durante il lockdown da un’idea delle tre giovani ricercatrici Benedetta Falsetti, Carla Sciarra e Marta Tuninetti che nell’ultimo anno hanno lavorato al fianco di un team di esperti in comunicazione digitale.

Pubblicato in Ambiente

 

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