Per comprendere l’origine della balenottera azzurra il Dott. Michelangelo Bisconti e il Prof. Giorgio Carnevale del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino, insieme a un team internazionale di ricercatori, hanno concentrato i propri sforzi sullo studio di un particolare distretto scheletrico di questo animale: le ossa uditive. Nei cetacei infatti le ossa uditive comprendono due grandi elementi chiamati periotico e bulla timpanica, nei quali si trovano gli organi dell’udito e un certo numero di nervi che possono fornire informazioni circa i rapporti evolutivi che intercorrono tra specie diverse.
L’anatomia e le caratteristiche dello scheletro pongono questa specie tra le più primitive balenottere viventi. Le ossa uditive di uno scheletro di balenottera azzurra conservata a Bruxelles dalla seconda metà del XIX secolo sono state sottoposte a scansione 3D e a TAC rivelando dettagli mai osservati prima, permettendo la ricostruzione della morfologia degli organi dell’udito che si trovano all’interno del periotico. La modellizzazione 3D ha consentito la determinazione delle frequenze che questo animale può udire. I risultati sono stati confrontati con dati simili provenienti da altri studi e basati su specie differenti contribuendo così ad una analisi dei rapporti evolutivi della balenottera azzurra.
Con questo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale The Anatomical Record, si conferma lo status di primitività della balenottera azzurra e si suggerisce una particolare affinità con la balenottera comune che abita anche il Mediterraneo. Inoltre, lo studio dettagliato del periotico ha rivelato che in questa specie esistono caratteristiche peculiari mai osservate prima, che permettono l’identificazione di specie strettamente imparentate con essa nella documentazione fossile.
“Capire l’origine della balenottera azzurra - dichiara il Dott. Bisconti - significa comprendere in che modo il meccanismo di gestione della colonna alimentare oceanica si sia posto in essere nel corso degli ultimi milioni di anni. A partire da questi risultati è forte la speranza di poter ricostruire il percorso evolutivo che ha condotto all’origine del più gigante degli animali e alla strutturazione delle catene alimentari oceaniche, rimaste in auge fino a quando la caccia ai grandi cetacei non le ha radicalmente alterate”.