I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Plants in due articoli intitolati Out-of-date datasets hamper conservation of species close to extinction (http://dx.doi.org/10.1038/s41477-022-01293-w) e Selecting the best candidates for resurrecting extinct-in-the-wild plants from herbaria (http://dx.doi.org/10.1038/s41477-022-01296-7).
La maggior parte di queste specie è probabilmente persa per sempre. Tuttavia, potrebbe esserci una possibilità di recuperare alcune di esse, come suggerito dalla scienza delle “De-estinzioni”, che si propone di sviluppare conoscenze e metodi per riportare in vita specie estinte.
“Per quanto riguarda le piante – afferma il prof. Thomas Abeli, docente di biologia della conservazione dell’Università Roma Tre – molte si riproducono per mezzo di semi che possono rimanere vitali per molti decenni o secoli e potenzialmente svilupparsi in individui adulti. Esiste dunque la possibilità di riportare in vita piante estinte i cui semi sono conservati nelle collezioni naturalistiche, in particolare negli erbari. Questa ricerca rappresenta il primo passo verso tale direzione e ha permesso di individuare circa 160 specie estinte di cui ancora esistono semi in oltre 60 erbari di tutto il mondo”.
I ricercatori hanno valutato i "candidati alla de-estinzione" in base a criteri quali la resistenza dei loro semi alla conservazione, l'età degli esemplari e l’unicità evolutiva delle specie. “Ciò è stato possibile perché i moderni strumenti analitici consentono oggi di gestire una grande mole di dati da sorgenti diverse tra cui anche la storia evolutiva delle specie, aggiunge il prof. Angelino Carta, Docente di botanica sistematica all’Università degli Studi di Pisa. Tale catalogazione rappresenta una base di primaria importanza sulla quale avviare il futuro recupero di specie estinte. Il prof. Andrea Mondoni, docente di botanica applicata all’Università degli Studi di Pavia spiega che “tra queste specie spiccano diverse Leguminose (Fabaceae), come Astragalus endopterus dall’Arizona, Streblorrhiza speciosa dall’isola Norfolk e l’europea Vicia dennesiana, endemica delle Azzorre (Portogallo), note per la longevità dei loro semi”.
Infine, la ricerca ha messo in evidenza i rischi e i benefici della recente proliferazione di database e aggregatori di dati, nell’era attuale della digitalizzazione e dei big data. Se da un lato questi strumenti hanno accelerato l’accesso ai dati sulla biodiversità, dall’altro lato possono velocizzare la diffusione di informazioni errate. Per esempio, nei casi in cui lo status di conservazione delle specie non sia aggiornato, le azioni di conservazione, in particolare per le specie gravemente minacciate, possono essere fuorviate.
In collaborazione con il Botanic Gardens Conservation International (BGCI), il gruppo di ricerca ha identificato le incongruenze relative allo status di conservazione di specie vegetali in importanti database internazionali, scoprendo che ben 12 specie di piante considerate estinte non lo sono affatto, ma sono conservate in orti botanici o in natura.
Le informazioni raccolte hanno notevoli risvolti nell’ambito della conservazione delle specie, in quanto permetteranno di pianificare azioni specifiche di salvaguardia e reintroduzioni in natura per specie gravemente minacciate che sono state erroneamente dichiarate estinte.