Scoperto un segnale gravitazionale anomalo generato dalla fusione "istantanea" di due buchi neri
Il 21 maggio 2019 i due interferometri LIGO, negli USA, e Virgo, in Italia, hanno rivelato un segnale gravitazionale straordinariamente intenso, ma estremamente breve. Una sorta di potentissimo gong cosmico, chiamato GW190521, dalla data della sua rivelazione. L’onda gravitazionale era stata generata dalla fusione di due buchi neri a miliardi di anni luce di distanza dalla Terra e, in seguito a quel fragoroso scontro, è stato prodotto un buco nero di oltre 150 masse solari, il buco nero più massiccio osservato fino ad oggi da LIGO e Virgo.
GW190521 è stata un’osservazione eccezionale e per molti versi enigmatica, che ha stimolato gli astrofisici a immaginare possibili scenari cosmici che spieghino il meccanismo di formazione della coppia binaria e le caratteristiche della sua violenta fusione. Giovedì 17 novembre, un gruppo di ricerca composto da scienziati della sezione di Torino dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, insieme ai colleghi dell’Università di Torino e dell’Università Friedrich Schiller di Jena (Germania), ha pubblicato un importante studio su Nature Astronomy, intitolato 'GW190521 as a dynamical capture of two nonspinning black holes', in cui prova a interpretare la natura enigmatica di questo segnale gravitazionale anomalo.
Nell’occhio del mirino l’enzima-filler che rende i tumori resistenti alle terapie
Indagato da un gruppo internazionale di ricercatori dell’IFOM e dell’Università degli Studi di Milano il ruolo dell’enzima Polimerasi Theta nella farmacoresistenza è stato studiato. Per la particolare funzione di questa molecola i ricercatori hanno coniato il nome di “enzima-filler”, o enzima riempitore. Esso ha infatti la capacità di colmare le lesioni che le terapie hanno provocato al DNA delle cellule tumorali, con la conseguenza di rafforzare tali cellule. I ricercatori hanno altresì individuato un approccio terapeutico potenzialmente efficace per impedire l’azione-filler della Polimerasi Theta e prevenire così l’insorgenza della recidiva. Tale approccio potrebbe essere un’alternativa alle classiche radio- e chemioterapie. I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC e dalla Fondazione Regionale Ricerca Biomedica, sono stati pubblicati oggi sulla rivista Molecular Cell.