La Guerra come Meccanismo Endogeno di Crescita nel Capitalismo: Una Prospettiva Critica e Proposte per Modelli Alternativi

Guido Donati* 27 Giu 2025



Questo saggio, un'analisi approfondita delle dinamiche tra capitalismo, crescita e conflitto, è suddiviso in quattro parti per facilitarne la lettura e l'approfondimento.

Elenco delle Parti:
• Parte 1: Il Paradosso del Capitalismo: Crescita Infinita in un Mondo Finito
• Parte 2: La Guerra: Un "Reset" Nascosto per l'Economia Capitalistica?
• Parte 3: Oltre il Limite: L'Insostenibilità di un Modello Distruttivo
• Parte 4: Verso un Futuro di Bene-Essere: Proposte per un Paradigma di Pace e Sostenibilità

Parte 1: Il Paradosso del Capitalismo: Crescita Infinita in un Mondo Finito

Abstract: Questo articolo esamina criticamente la presunta necessità strutturale dei conflitti armati all'interno del sistema economico capitalistico. Sosteniamo che, in un mondo di risorse finite e con una popolazione in crescita costante, la logica di crescita illimitata del capitalismo porti a dinamiche intrinseche di crisi. La guerra, lungi dall'essere un mero evento esogeno, può funzionare come un meccanismo di riavvio e rigenerazione economica. Si argomenta, pertanto, l'urgenza di trascendere questo modello verso paradigmi alternativi che privilegino il controllo demografico consapevole e il benessere sociale, anziché la mera accumulazione di capitale, in un'ottica di sostenibilità ed equità globale.

1. Introduzione: Il Paradosso della Crescita Illimitata e le sue Radici Critiche

Nel cuore del paradigma economico dominante, il capitalismo, pulsa un imperativo: la crescita economica continua, idealmente illimitata. Eppure, questa pulsazione si scontra violentemente con una realtà biofisica ineludibile: il nostro pianeta è un sistema chiuso, con risorse finite e una capacità di carico limitata, mentre la popolazione umana è in costante e implacabile espansione. Come può un sistema intrinsecamente dipendente da una crescita perpetua operare efficacemente in un contesto di limiti fisici e crescenti disuguaglianze?
Già nel XVIII secolo, pensatori lungimiranti avevano messo in guardia contro le conseguenze di una crescita non regolata. Thomas Robert Malthus, nel suo influente Saggio sul principio della popolazione (1798) [36], espresse la profonda preoccupazione che la crescita demografica, procedendo geometricamente, avrebbe inevitabilmente superato la crescita della produzione alimentare, che invece procedeva aritmeticamente. Le sue "leggi della popolazione" suggerivano che l'umanità sarebbe stata condannata a cicli di miseria, fame e "freni positivi" come guerre, carestie ed epidemie, a meno di adottare "freni preventivi" (controllo delle nascite). Sebbene l'innovazione tecnologica e l'espansione capitalistica (inclusa la colonizzazione e la globalizzazione) abbiano in parte mitigato le previsioni più cupe di Malthus, il nucleo della sua fondamentale intuizione sui limiti della crescita esponenziale in un ambiente finito risuona ancora oggi.

Se la visione di Malthus poneva i limiti della crescita nella sfera demografica e produttiva, pensatori successivi avrebbero esteso questa critica alla natura stessa della crescita economica capitalistica, evidenziando come essa si sia storicamente basata non solo su un incessante sfruttamento delle risorse naturali, ma anche sull'estrazione di valore dalle classi meno agiate e, in una prospettiva geopolitica, sulle risorse e la forza lavoro delle nazioni periferiche.


Karl Marx (1867) [37] e Friedrich Engels, nelle loro opere fondamentali (Il Capitale, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato), hanno analizzato il capitalismo come un sistema intrinsecamente votato all'accumulazione di capitale tramite l'estrazione di plusvalore dal lavoro. La loro critica, sebbene non focalizzata direttamente sui limiti ecologici, illustra un modello di crescita che prospera sulla disuguaglianza strutturale e sulla costante ricerca di nuove fonti di profitto, come la delocalizzazione della produzione odierna per ridurre i costi del lavoro. Nel XX secolo, la Scuola di Francoforte, con figure come Max Horkheimer e Theodor W. Adorno (1947) [17] (Dialettica dell'Illuminismo), ha esteso questa critica alla razionalità strumentale del capitalismo, evidenziando come
la sua logica di dominio non si applicasse solo alla natura, ma anche ai rapporti umani.
Più recentemente, l'emergere dell'economia ecologica ha fornito una cornice rigorosa per comprendere l'insostenibilità del modello attuale. Kenneth Boulding, con il suo celebre saggio "The Economics of the Coming Spaceship Earth" (1966) [4], ha introdotto il concetto di "economia dell'astronave" per evidenziare che la Terra è un sistema chiuso con risorse finite. Herman Daly, un pioniere dell'economia ecologica, ha argomentato con forza che un'economia sostenibile deve operare come "sottosistema" di un ecosistema globale finito, promuovendo il concetto di "stato stazionario" come alternativa alla crescita illimitata (Daly, 1996) [8].


Le teorie del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein (1974) [46] e la teoria della dipendenza di autori come Andre Gunder Frank (1967) [14] hanno inoltre messo in luce come la crescita e la prosperità delle nazioni capitaliste "centrali" siano state storicamente e strutturalmente legate al sottosviluppo e allo sfruttamento delle "periferie" globali, sia in termini di risorse naturali che di forza lavoro a basso costo. Questa prospettiva fornisce una cornice per comprendere come la necessità di nuove risorse, mercati e manodopera a basso costo, intrinseca alla logica della crescita capitalistica, possa sfociare in dinamiche di conflitto, dominazione economica o neocolonialismo, come osservato nella corsa ai minerali critici in alcune regioni africane.
È in questo contesto storico di critiche alla crescita, sia demografica che economica basata sullo sfruttamento, che si inserisce la nostra tesi centrale: come può un sistema che, per sua natura, cerca una crescita illimitata operare in un contesto di limiti intrinseci e crescenti disuguaglianze senza ricorrere a meccanismi di "riavvio" o "spurgo" sistemici? Si propone che i conflitti armati, lungi dall'essere semplici interruzioni esterne, possano agire come "shock" che, attraverso meccanismi di distruzione e ricostruzione, riescono a riavviare o accelerare i cicli economici, rendendo la guerra un elemento endogeno, seppur socialmente mascherato, alla logica della crescita capitalistica.

* Board member SRSN (Roman Society of Natural Science)

 

Bibliografia (Parte 1)
• [4] Boulding, K. E. (1966). The Economics of the Coming Spaceship Earth. In H. Jarrett (Ed.), Environmental Quality in a Growing Economy (pp. 3-14). Johns Hopkins University Press.
• [8] Daly, H. E. (1996). Beyond Growth: The Economics of Sustainable Development. Beacon Press.
• [14] Frank, A. G. (1967). Capitalism and Underdevelopment in Latin America. Monthly Review Press.
• [17] Horkheimer, M., & Adorno, T. W. (1947). Dialektik der Aufklärung: Philosophische Fragmente. Querido Verlag.
• [36] Malthus, T. R. (1798). An Essay on the Principle of Population. J. Johnson.
• [37] Marx, K. (1867). Das Kapital: Kritik der politischen Oekonomie. Band I: Der Produktionsprocess des Kapitals. Otto Meissner.
• [46] Wallerstein, I. (1974). The Modern World-System, Vol. I: Capitalist Agriculture and the Origins of the European World-Economy in the Sixteenth Century. Academic Press.

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