Lunedì, 12 Aprile 2021

Un nuovo rapporto del WWF rileva che 1/3 del caviale (le prelibate uova di storione) e dei prodotti a base di carne sono stati venduti illegalmente nella regione del Danubio inferiore. In Europa tutte le specie di storione tranne una sono in via di estinzione: ora un nuovo rapporto descrive in dettaglio la portata del bracconaggio e del commercio illegale di carne e caviale di storione selvatico nel Danubio inferiore e nel Mar Nero. Piaghe che minacciano la sopravvivenza di questi iconici pesci, veri e propri fossili viventi.

Pubblicata oggi, la nuova indagine di mercato del WWF ha rilevato che un terzo della carne di storione e dei prodotti a base di caviale in quattro paesi chiave per lo storione - Bulgaria, Romania, Serbia e Ucraina - sono stati venduti illegalmente. In particolare, il 19% di tutti i campioni proveniva da storione selvatico, che attualmente non può essere catturato o commercializzato legalmente in nessuna parte della regione, mentre un altro 12% non è conforme alle normative sul commercio internazionale.

Pubblicato in Ambiente

The main Lusi vent and its plume during regular geysering activity. In the background of the image the active Arjuno-Welirang volcanic complex is visible. Video can be viewed on YouTube. Photo: Adriano Mazzini/CEED/UiO


A new study in Scientific Reports quantifies the amount ofmethane emissions from the Lusi eruption. The emissions of 100,000 tonnes methane per year are the highest measured from a single terrestrial natural gas manifestation.

Lusi is the nickname of a gas manifestation that developed in 2006 on the Java Island, Indonesia. Today, Lusi is the world's largest active clastic eruption.

Since its inception, Lusi has been relentlessly bursting water, oil, gas and mud, with flow rate peaks of up to 180,000 m3(cubic meters) per day. Its vapour plumes rise several tens of meters in height. During these years the mud has engulfed several villages expanding over a surface of several square kilometres.

The mechanisms fuelling Lusi
An international collaborative study led by CEED researcher Adriano Mazzini at the University of Oslo, Norway - in the framework of the ERC grantLUSI LAB- has monitored and analysed the Lusi vent over several years. Results have shown that this geological phenomenon is fuelled by high fluid pressures in sedimentary rocks and high temperatures resulting from the interaction with the neighbouring magmatic volcano. Lusi is therefore considered the surface manifestation of a hybrid sedimentary/hydrothermal system.

The erupted gas is rich in carbon dioxide (CO2) and methane (CH4), which are expelled at a central crater and across thousands of vents covering an area of 7.5 km2(square kilometers).

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Researchers at the University of Tsukuba show that in non-alcoholic fatty liver disease, regimented exercise has beneficial effects on the liver that are unrelated to weight loss, and they reveal the mechanisms underlying these benefits

Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD) is the most common liver disorder worldwide, affecting as much as a quarter of humanity. It is characterized by fat accumulation in liver cells and may progress to inflammation, cirrhosis and liver failure. Now, researchers at the University of Tsukuba reveal the positive effects, beyond the expected weight-loss benefit, of exercise on the liver.

NAFLD is associated with unhealthy behaviors such as overeating and a sedentary lifestyle. In Japan 41% of middle-aged men have NAFLD and 25% will progress to non-alcoholic steatohepatitis (NASH) and hepatic dysfunction.

Weight reduction is fundamental to NAFLD management. Unfortunately, achieving a targeted bodyweight without supervision is difficult, and maintaining this over time even more so. Hitherto, exercise was considered adjunctive to dietary restrictions for weight loss but the other benefits such as reduced hepatic steatosis (fatty change) and stiffness are being increasingly recognized. However, the underlying mechanisms remain unclear.

Pubblicato in Scienceonline

 

The image shows aluminum (orange) in a neuron in a donor's brain tissue with familial Alzheimer’s disease. The same neuron revealed positive immunostaining (brown) for phosphorylated tau (pTau). Merging these images showed that aluminum and pTau are co-located inside the same cell.

 



A new study published in the Journal of Alzheimer’s Disease Reports (JADR) continues to support a growing body of evidence that aluminum contributes to the pathogenesis of Alzheimer’s disease (AD). Researchers found aluminum co-located with phosphorylated tau protein, which is an early initiator of AD

This study builds upon two earlier published studies (Mold et al., 2020, Journal of Alzheimer’s Disease Reports) from the same group. The new data, also published in the Journal of Alzheimer’s Disease Reports, demonstrate that aluminum is co-located with phosphorylated tau protein, present as tangles within neurons in the brains of early-onset or familial Alzheimer’s disease (AD). “The presence of these tangles is associated with neuronal cell death, and observations of aluminum in these tangles may highlight a role for aluminum in their formation,” explained lead investigator Matthew John Mold, PhD, Birchall Centre, Lennard-Jones Laboratories, Keele University, Staffordshire, UK.

Pubblicato in Scienceonline


Gianluca ha una rara malattia genetica che lo costringe, a soli 27 anni, ad un trapianto di fegato. Eppure il suo, di fegato, in un'altra persona funzionerebbe perfettamente e potrebbe salvarle la vita. La soluzione, tanto semplice da immaginare quanto complessa da mettere in pratica, si chiama "trapianto domino": una volta trovato un donatore per Gianluca, basta trovare un altro paziente a cui donare il suo organo, e salvare così due vite con un solo fegato. Ed è proprio quello che accade al Policlinico di Milano: ora Gianluca e Federico (nomi di fantasia) sono appena tornati a casa, e per entrambi inizia una nuova vita grazie alla generosità che sta a monte di ogni trapianto.


La malattia di Gianluca si chiama leucinosi: consiste nella completa mancanza di un enzima che è fondamentale per poter metabolizzare gli aminoacidi assunti col cibo. Senza questo enzima, che è prodotto dal fegato ma anche in tutto il resto dell'organismo, il ragazzo è costretto a diete strettissime ed è costantemente esposto a complicanze gravi, come compromissioni neurologiche e respiratorie. Per la leucinosi, Gianluca è da sempre seguito da Francesca Menni, referente per le malattie metaboliche della Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico di Milano. Ma per guarire ha bisogno di un trapianto, perché la sostituzione del suo fegato correggerebbe il difetto metabolico e gli permetterebbe di tornare a una vita normale. Il fegato di Gianluca però è sano: gli manca soltanto quell'enzima, e in un altro paziente senza leucinosi non darebbe problemi perché il suo organismo lo produrrebbe senza difficoltà.

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Possibili siti di mutazioni potenzialmente più aggressive sia sulla proteina umana ACE2 (azzurro) che sulla proteina Spike del SARS-CoV-2 (marrone) predette nello studio del MolBNL@UniTS

 

Uno studio di un gruppo di ricercatori del King’s College London, dell’Università degli studi di Trieste e del Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (ICGEB) di Trieste, pubblicato oggi sulla rivista Nature, ha identificato il meccanismo che porta alla fusione delle cellule infettate con Sars-Cov-2 e un farmaco in grado di bloccare questo processo.

Attraverso uno screening di laboratorio su oltre 3.000 farmaci già approvati per la terapia di diverse malattie, il gruppo di ricercatori italiani e inglesi guidati da Mauro Giacca, professore dell’Università di Trieste, docente di Cardiovascular Sciences al King's College di Londra, e responsabile del Laboratorio di Medicina Molecolare dell’ICGEB, ha scoperto che la niclosamide, un farmaco usato da più di 50 anni per le infezioni intestinali, è in grado di bloccare gli effetti dannosi che la proteina Spike di Sars-CoV-2 causa alle cellule.

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In uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Physiological Reviews, ricercatori e studiosi del Dipartimento Scienze Mediche dell’Università di Torino e Fondazione Ricerca Molinette presentano una nuova prospettiva medica che parte dall’ipotesi che la molecola CD38 e le sue attività enzimatiche esercitino un ruolo nella infezione da Covid-19.

CD38 è una molecola la cui origine risale a circa 950 milioni di anni fa nella storia della vita. Nell’uomo è stata identificata nel contesto degli sforzi del Workshop sugli Antigeni di Differenziamento, alla fine degli anni ’70. Il Laboratorio di Immunogenetica dell’Università di Torino ha caratterizzato gene e struttura di CD38 e soprattutto ne ha anticipato le applicazioni in clinica (1). Inizialmente la molecola CD38 è stata considerata come un marcatore di popolazioni cellulari circolanti nel sangue e particolare attenzione è stata dedicata alla leucemia linfatica cronica, di cui è diventata un indicatore di stadiazione (2). Oggi la molecola è ampiamente impiegata in clinica come target di anticorpi monoclonali nella terapia del mieloma multiplo .

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