Redazione

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Uno studio condotto dal Cnr-Ibiom di Bari insieme all’Università di Bari e all’Università Statale di Milano, con il supporto della piattaforma bioinformatica e genomica di Elixir Italia, ha sviluppato una metodologia che consente di verificare il grado di infettività di una persona affetta da Covid-19, discriminando tra il genoma a RNA del virus e le molecole derivanti dalla sua trascrizione. Il lavoro è pubblicato su Nature Communications Biology

 Un team dell’Istituto di biomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibiom) di Bari, dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, dell’Università Statale di Milano, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata e del Laboratorio Covid dell’Ospedale “Di Venere” di Bari, con il supporto della piattaforma genomica e bioinformatica messa a disposizione dal nodo italiano dell’Infrastruttura di ricerca europea Elixir per le scienze della vita, ha effettuato uno studio su 166 soggetti affetti da Covid-19 con differente grado di carica virale nel quale è stata messa a punto una metodologia per determinare il numero assoluto di molecole di RNA virale contenute nei tamponi molecolari utilizzati per individuare la positività al virus. La ricerca pubblicata su Nature Communications Biology permette di individuare il grado di infettività di persona affetta da Covid-19.

 

 

Un team di studenti dell’Università degli Studi di Milano ha scoperto la prima menzione dell’America nell’area mediterranea in un’opera inedita medievale scritta attorno al 1340, oltre cento anni prima che l’America venisse scoperta dall’esploratore genovese. Lo studio è stato pubblicato su Terrae incognitae.


Una clamorosa menzione di una terra situata al di là dell’Atlantico è stata individuata in un’opera inedita medievale, scritta dal domenicano Galvano Fiamma intorno al 1340: la scoperta è nata all’interno di un progetto didattico della Statale di Milano, cui hanno collaborato numerosi studenti di Lettere, ed è stata pubblicata sulla rivista statunitense Terrae incognitae, dedicata alla storia delle esplorazioni.
Tutti sanno che il continente americano entrò nell’orbita delle conoscenze degli Europei con la spedizione di Cristoforo Colombo, effettuata nel 1492. In realtà esplorazioni sulle coste settentrionali dell’Atlantico erano già state compiute nei secoli precedenti da navigatori vichinghi, e hanno lasciato sporadiche tracce nei racconti semileggendari di alcune saghe norrene. La notizia dell’esistenza di terre al di là dell’Atlantico non era però mai stata documentata fino a questo momento fuori dalla Scandinavia. Una ricerca in corso presso la Statale dimostra ora che qualcosa se ne sapeva anche più a sud.

 

 

Oltre trenta i siti storico-culturali toccati dai runner nel corso dei 42km della competizione. In aggiunta alla maratona, la Staffetta solidale Acea Run4Rome e la Stracittadina Fun Race 5km, che si potrà correre ovunque ci si trovi. L’evento ha l'obiettivo di diventare ecosostenibile entro il 2023.

Al via la maratona di Roma 2021
Si corre domenica 19 settembre l’Acea Run Rome The Marathon, la maratona di Roma, con la partenza fissata alle ore 6.45 sui Fori Imperiali. Una corsa molto attesa, dopo il rinvio dello scorso marzo 2020, che inizierà con l’Alba Edition Special Race.

Il percorso della maratona di Roma
Il tracciato della gara prevede il passaggio per diversi luoghi storici della città: dai Fori Imperiali si passa subito per l’Altare della Patria, poi dal Campidoglio, Teatro Marcello, Circo Massimo e la Piramide Cestia. Si prosegue su via della Conciliazione, la Basilica di San Pietro e per poi attraversare il Ponte Cavour, il Lungotevere, i luoghi del villaggio olimpico 1960. Dopo il passaggio verso Roma nord, nei pressi di Monte Antenne, si ritorna verso il traguardo. Via del Corso, Piazza del Popolo, Piazza di Spagna, Piazza Navona, Piazza Venezia, Via dei Fori Imperiali e infine il traguardo di fronte al Colosseo.

 

Lo studio, coordinato dell’Università Statale di Milano e dal Policlinico di Milano, assieme all’Università di Milano-Bicocca, all’Università di Torino e all’ University of Miami Miller School of Medicine, ha scoperto che le nanoparticelle d’oro riducono il danno ossidativo e migliorano la funzionalità mitocondriale nei pazienti affetti dall’atassia di Friedreich. La ricerca è stata pubblicata su Science Translational Medicine.
Nanoparticelle composte da clusters di atomi d’oro migliorano la funzionalità mitocondriale e riducono il danno ossidativo nei pazienti affetti dall’atassia di Friedreich, una malattia neurodegenerativa causata da un'anomalia del gene che codifica per una proteina e che colpisce principalmente il sistema nervoso centrale e periferico: lo studio è stato pubblicato di recente su Science Translational Medicine.



Lo studio, coordinato dell’Università Statale di Milano e dal Policlinico di Milano, assieme all’Università di Torino, all’Università di Milano-Bicocca e alla University of Miami Miller School of Medicine, ha scoperto che le nanoparticelle d’oro riducono il danno ossidativo e migliorano la funzionalità mitocondriale nei pazienti affetti dall’atassia di Friedreich. La ricerca è stata pubblicata su Science Translational Medicine.

 Nanoparticelle composte da clusters di atomi d’oro migliorano la funzionalità mitocondriale e riducono il danno ossidativo nei pazienti affetti dall’atassia di Friedreich, una malattia neurodegenerativa causata da un'anomalia del gene che codifica per una proteina e che colpisce principalmente il sistema nervoso centrale e periferico: lo studio è stato pubblicato di recente su Science Translational Medicine.

 La ricerca è iniziata nel 2019 da Chiara Villa, ricercatrice dell’Università Statale di Milano, afferente al Laboratorio di cellule staminali del “Centro Dino Ferrari” Fondazione IRCCS Ca' Granda - Ospedale Maggiore Policlinico, diretto da Yvan Torrente, docente di Neurologia della Statale, con l’obiettivo di indagare il ruolo di nanoparticelle di atomi d’oro nel trattamento dell’Atassia di Friedreich (FRDA). Questo studio nasce da una collaborazione tra i gruppi di ricerca dell’Università di Milano- Bicocca (diretto da Angelo Monguzzi), dell’Università di Torino (diretto da Giorgio Merlo) e dell’Università di Miami diretto da Carlos Moraes.



Gli enzimi polifenol-ossidasi (PPO), presenti in quasi tutte le specie vegetali, sono responsabili dell’imbrunimento enzimatico di molti prodotti alimentari. Per il frumento, l’imbrunimento delle farine è giudicato negativamente dai consumatori. Attualmente, infatti, sebbene la colorazione scura delle paste, dei pani e dei prodotti da forno sia accettata dai consumatori in quando derivati dall’utilizzo di sfarinati integrali e ricchi di fibre, per i prodotti raffinati, la colorazione scura è indicativa di un prodotto di scarsa qualità.

Utilizzando oltre 200 frumenti rappresentativi di specie selvatiche, di specie addomesticate (come il farro, il frumento turanico, polonico, turgido ed il frumento cartlico, detto anche persiano), di ecotipi locali e di varietà di frumento duro coltivate in Italia nell’ultimo secolo, i ricercatori dell'Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e del CREA, Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali, hanno compreso che le PPO hanno avuto un ruolo nel processo evolutivo del frumento.

ogni puntino corrisponde a ciascun neurone individuato grazie all'alta risoluzione del nuovo tipo di microscopio

 

Innovativa tecnica ottica per l'indagine macroscopica ad alta risoluzione. Pubblicazione su Nature Methods a cura di Università di Firenze, Lens e Cnr-Ino

 Una tra le maggiori sfide della scienza è costituita dallo studio del cervello, della sua anatomia e della sua architettura cellulare, fondamentale per comprendere le funzioni del sistema nervoso centrale.

Un passo avanti in questo campo strategico della ricerca è costituito da una nuova tecnica ottica che permette un'indagine macroscopica ad alta risoluzione. Ne dà conto una pubblicazione su Nature Methods guidata dall'Università di Firenze (dipartimenti di Fisica e astronomia, di Ingegneria dell’informazione e di Biologia), dal Laboratorio europeo di spettroscopia non lineare (Lens) e dall'Istituto nazionale di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ino).

 

L’Università degli Studi di Milano ha analizzato 150 anni di cambiamento climatico e biodiversità in Italia scoprendo come temperature, precipitazioni, densità della popolazione umana ed ecosistemi sono cambiati in modo importante. I risultati appena pubblicati su Nature Ecology & Evolution.

Temperature aumentate di 2°C nell’ultimo secolo, precipitazioni diminuite del 12%, densità di popolazione di sei volte maggiore rispetto alla metà dell’Ottocento nelle aree più antropizzate: sono solo alcuni dei risultati appena pubblicati su Nature Ecology & Evolution che analizzano per la prima volta gli effetti dei cambiamenti climatici, la crescita della popolazione umana ed i cambiamenti nell’uso del suolo sulla biodiversità degli invertebrati in Italia, utilizzando dati raccolti negli ultimi 150 anni. Il team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano è stato coordinato da Silvio Marta e Francesco Ficetola del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali e ha dimostrato come il clima (temperatura e precipitazioni), la densità di popolazione e gli ecosistemi siano cambiati in modo impressionante.

Nell’ultimo secolo le temperature sono aumentate in media di 2°C, ma non solo. Nello stesso periodo, le precipitazioni sono diminuite in media del 12%, mentre la densità di popolazione umana è aumentata in modo costante fino al 1980, per poi stabilizzarsi sui livelli attuali (circa sei volte più elevati rispetto all’inizio della serie). Inoltre, la quantità di habitat naturali e seminaturali è diminuita fino al 1950, per poi aumentare di circa il 15%, soprattutto nelle aree di montagna.

Pubblicato un numero della rivista Journal of Evolutionary Biology sul tema della genomica dell’adattamento evolutivo, che indaga i processi biologici che regolano l’adattamento degli esseri viventi all’ambiente in cui vivono. Oggetto di indagine anche i coronavirus. Curato da ricercatori del Cnr-Irbim, dell’University of Konstanz e dell’University College Dublin, questo speciale racconta lo stato dell’attività di ricerca sul tema, che beneficia dei risultati nel campo della genomica e della bioinformatica

 I progressi nelle tecniche di sequenziamento e analisi dell’intero genoma negli ultimi anni hanno coinvolto tra gli altri lo studio dell’adattamento evolutivo, cioè il processo con cui l’evoluzione produce organismi ben adattati, per esempio alle condizioni ambientali in cui vivono. Carmelo Fruciano dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim), Paolo Franchini dell’University of Konstanz in Germania e Julia Jones dell’University College Dublin in Irlanda hanno curato come guest editor una edizione speciale della rivista Journal of Evolutionary Biology per fare il punto della situazione degli studi in questo settore.

“Nel nostro articolo abbiamo affrontato grandi domande in attesa di risposte come, per esempio, se geni raggruppati in porzioni relativamente ridotte del genoma facilitino l’adattamento o se, invece, i geni che sono responsabili dell’adattamento siano localizzati in tutto il genoma senza particolari raggruppamenti”, spiega Fruciano. “Oppure se nel processo di adattamento sia più importante l’evoluzione delle sequenze di DNA che codificano proteine o, viceversa, le sequenze di DNA che regolano l’espressione genica, cioè quella parte del DNA che definisce, in ultima analisi, quanta proteina venga prodotta a partire da una certa sequenza”.

 

Il gruppo di ricerca: Giorgia Girotto, Paolo Gasparini, Maria Pina Concas, Anna Morgan

 

Uno studio guidato dall’Università di Trieste in collaborazione con l’IRCCS Burlo Garofolo, pubblicato su Food, Quality & Preference di Elsevier, ha scoperto per la prima volta la correlazione genetica tra la percezione della cannella e il gradimento dei vini rossi. Un passo in avanti per la comprensione di come gli esseri umani recepiscono gli odori, con potenziali sviluppi per la diagnosi delle malattie neurodegenerative.

Una ricerca condotta dall’Università di Trieste, in collaborazione con l’ospedale materno infantile Burlo Garofolo, ha scoperto per la prima volta la correlazione genetica tra un recettore dell’olfatto, la percezione della cannella e il senso di piacevolezza per i vini rossi che contengono cinnamaldeide, una sostanza che dà origine a sentori di cannella. Si tratta di un nuovo passo nel campo della genetica delle preferenze alimentari, al punto che è stato incluso da Elsevier, casa editrice della rivista Food, Quality & Preference che ha pubblicato lo studio e principale editore mondiale in ambito medico e scientifico, nella newsletter periodica che presenta gli studi più interessanti ai giornalisti di tutto il mondo.

 

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