Un indice delle popolazioni di animali. L’Indice del Pianeta Vivente (Living Planet Index) è un indicatore dello stato della biodiversità globale, elaborato dal WWF e dalla Zoological Society of London, che ci segnala quindi lo stato di salute della biodiversità del nostro pianeta. Pubblicato per la prima volta nel 1998, per due decenni ha registrato l’abbondanza di 16.704 popolazioni di oltre 4.000 specie di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi (gli animali Vertebrati) in tutto il mondo. L’Indice analizza i trend di queste popolazioni, selezionate in maniera scientifca, quale misura dei cambiamenti nella biodiversità. In questa edizione 2018, la ventesima del Living Planet Report, l’indice include i dati dal 1970 al 2014 e mostra un declino globale del 60% nella dimensione delle popolazioni di vertebrati che, in pratica, significa un crollo di più della metà in meno di 50 anni.
The Global Living Planet Index 1970 to 2014
Le minacce che stanno minando le oltre 8.500 specie a rischio di estinzione, presenti nella Lista Rossa (Red List) dell’IUCN, riguardano soprattutto il sovrasfruttamento e le modifiche degli ambienti naturali, in particolare quelle dovute all’agricoltura. Delle piante e di buona parte degli animali vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili e anfibi) che si sono estinti dal 1500 ad oggi, il 75% di queste estinzioni è stata causata dal sovrasfruttamento e dall’agricoltura. Altre minacce derivano dal cambiamento climatico, che sta diventando un driver crescente, dall’inquinamento, dalle specie invasive - che noi abbiamo spostato in tante aree del pianeta dove prima non esistevano e che fanno concorrenza a tante specie autoctone - dalle dighe e dalle miniere.
L’impronta ecologica del nostro consumo. Negli ultimi 50 anni la nostra impronta ecologica, la misura del consumo delle risorse naturali, è incrementata del 190%. Creare un sistema più sostenibile richiede significativi e urgenti cambiamenti nelle attività di produzione e consumo.
Global map of Ecological Footprint of consumption 2014
Minacce e pressioni sul suolo. Nel marzo 2018 l’Intergovernamental Science/Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) ha reso nota la valutazione sul degrado dei suoli (Land Degradation and Restoration Assessment) che dimostra come oggi meno del 25% della superficie terrestre sia ancora in condizioni naturali e come nel 2050, continuando con gli attuali andamenti di sfruttamento senza invertire l’attuale tendenza, la percentuale della superficie delle terre emerse in condizioni naturali si abbasserà al 10%.
Oggi, il degrado dei suoli mina il benessere di circa 3,2 miliardi di persone nel mondo. Inoltre, nell’era moderna, le zone umide hanno perso l’87% della loro estensione. Il degrado dei terreni include anche la perdita delle foreste, un fenomeno che nelle zone temperate è stato rallentato dalle operazioni di riforestazione ma che è andato accelerandosi nelle foreste tropicali. Un’analisi in 46 paesi in area tropicale e subtropicale ha dimostrato che l’agricoltura commerciale su larga scala e l’agricoltura di sussistenza sono state responsabili rispettivamente di circa il 40% e il 33% della conversione forestale tra il 2000 e il 2010. Il 27% della deforestazione è stata causata dalla crescita urbana, dall’espansione delle infrastrutture e dalle attività minerarie. Questo degrado esercita numerosi impatti sulle specie, sulla qualità degli habitat e sul funzionamento degli ecosistemi.
Invertire la curva della perdita di biodiversità. La biodiversità costituisce l’infrastruttura che sostiene tutta la vita sulla Terra. I sistemi naturali e i cicli biogeochimici che la diversità biologica genera consentono un funzionamento stabile dell’atmosfera, degli oceani, delle foreste, dei vari territori e dei bacini idrici. Essi costituiscono i prerequisiti per l’esistenza di una moderna e prospera società umana, capace di continuare a vivere bene nel corso del tempo. Da ora al 2020 abbiamo un’unica finestra di opportunità per formulare una visione di positivo rapporto tra l’umanità e la natura. La Convenzione della Diversità Biologica sta individuando i nuovi obiettivi e i target per il futuro. Questi, insieme agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), possono diventare la chiave per un contesto di protezione concreta e di efficacia nella tutela della natura e della biodiversità.
“In appena 50 anni il 20% della superficie delle foreste dell’Amazzonia è scomparsa mentre gli ambienti marini del mondo hanno perso quasi la metà dei coralli negli ultimi 30 anni. Il Living Planet Report 2018 richiama ad un impegno deciso per invertire la tendenza negativa della perdita della biodiversità. Il mondo ha bisogno di una Roadmap dal 2020 al 2050 con obiettivi chiari e ben definiti, di un set di azioni credibili per ripristinare i sistemi naturali e ristabilire un livello capace di dare benessere e prosperità all’umanità”. Dichiara la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi che conclude: “Per ottenere risultati è necessario intervenire subito già dalla 14° Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD, Convention on Biological Diversity, che avrà luogo in Egitto) nel prossimo novembre. È fondamentale un accordo globale, ambizioso ed efficace per la natura e la biodiversità, come è avvenuto per il cambiamento climatico in occasione della Conferenza di Parigi nel 2015”.