Sindrome del Tunnel Carpale: come diagnosticarla e prevenirla insieme all’ortopedico
La Sindrome del Tunnel Carpale è una patologia dolorosa e talvolta invalidante. Rappresenta la forma di neuropatia da intrappolamento più conosciuta e frequente e si manifesta comunemente con dolore e formicolio dalle dita della mano al braccio, soprattutto durante la notte. Come diagnosticarla? Ne abbiamo parlato con il Dott. Matteo Salvatore, specialista in Ortopedia presso il Poliambulatorio Specialistico San Raffaele Termini.
“La Sindrome del Tunnel Carpale fa parte delle sindromi canalicolari compressive dei nervi periferici, di cui fanno parte anche la sindrome del tunnel tarsale (piede) e quella del tunnel o canale cubitale (gomito). Si tratta di neuropatie causate da compressione di un nervo periferico che non decorre più agevolmente in un canale osteofibroso. Nel caso specifico della Sindrome del Tunnel Carpale il nervo interessato è il nervo mediano, uno dei tre principali nervi periferici misti (sentivo-motore, responsabile sia della sensibilità della cute sia della mobilità dei muscoli che innerva) dell’arto superiore. L’aumento di pressione sul nervo o il suo schiacciamento rappresenta la causa della sindrome del tunnel carpale che, se non curata, può comportare l’impossibilità di eseguire alcuni gesti comuni con le dita, come cucire o girare la chiave in una serratura. Il nervo, come il muscolo, è un tessuto nobile che non rigenera: nel caso trascorra troppo tempo compresso, soffre fino a perdere completamente la propria funzione”.
“Razza e Istruzione. Le leggi antiebraiche del 1938”, on line i documenti raccolti col progetto di ricerca
Tenere viva la memoria di una pagina orribile della storia italiana, quella scritta con la promulgazione delle leggi razziali, per poter cambiare l’esistente. Questo l’intento del progetto di ricerca “Razza e Istruzione. Le leggi anti-ebraiche del 1938” che, sostenuto dall’Università di Milano-Bicocca e dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, è stato reso possibile grazie a un Comitato scientifico nazionale – coordinato dalla professoressa Marina Calloni – in collaborazione con numerosi archivi. Ora quel progetto si arricchisce di un nuovo contenitore: un sito web che offre la possibilità di consultare i documenti raccolti, spesso inediti, di vedere gli interventi dei relatori della conferenza tenutasi nel febbraio dello scorso anno con la lectio magistralis della senatrice a vita Liliana Segre, ma anche di sfogliare il materiale della mostra, allestita in Ateneo.
Il progetto si è focalizzato sia sulle conseguenze che la limitazione di accesso all’istruzione e alle professioni ebbe sulle persone di origine ebraica, sia su ciò che la discriminazione educativa e professionale comportò sul sistema formativo e scientifico anche nell’Italia repubblicana. L’Università – come luogo privilegiato della ricerca e del sapere scientifico, il cui libero esercizio è costituzionalmente tutelato – non poteva non porre attenzione su ricadute culturali, giunte fino ai nostri giorni.
Svelati nuovi meccanismi che legano la dieta al funzionamento del cervello
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista PNAS
È noto che la dieta può alterare il funzionamento di molti organi quali il fegato, l’intestino o il pancreas modificando i cicli giornalieri di produzione di importanti fattori molecolari, tuttavia gli effetti della dieta a livello dell’orologio circadiano nel cervello erano finora poco noti. Un nuovo studio condotto da Paola Tognini, ricercatrice del Dipartimento di Ricerca Traslazionale dell’Università di Pisa, ha dimostrato come una dieta ricca di grassi abbia azioni molto forti anche a livello cerebrale. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Science (PNAS) ed è frutto di una collaborazione internazionale che include la University of California Irvine, la University of Texas Houston (USA) e l’INRAE Bordeaux (Francia), coordinata dal noto scienziato Paolo Sassone-Corsi, professore della University of California Irvine, deceduto prematuramente lo scorso luglio.
Una speranza per la cura della paraplegia indotta da lesione midollare
Ricercatori dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Cnr in collaborazione con Irccs Fondazione S. Lucia, Sapienza Università di Roma e Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute di La Jolla (USA) hanno dimostrato in un modello preclinico di lesione spinale completa, l’efficacia terapeutica della neurotossina botulinica di tipo A. Attraverso una potente e perdurante azione anti-infiammatoria, la neurotossina è neuroprotettiva, promuove la rigenerazione nervosa e contrasta la paralisi. I risultati pubblicati su Toxins sono stati oggetto di un brevetto presentato dall’11 al 13 novembre all’evento digitale Tech Share Day e si spera di arrivare a un test clinico che permetta di verificare nell’uomo i dati osservati
Le lesioni traumatiche complete ed incomplete del midollo spinale rappresentano una vera e propria sfida della medicina poiché, nonostante gli enormi progressi della scienza, ad oggi non esiste una cura in grado di ripristinare le abilità motorie perse. Tali lesioni provocano perdita permanente, totale o parziale, della trasmissione di impulsi nervosi sensoriali e motori nell’area sottostante la lesione, provocando paraplegia o tetraplegia. Si è calcolata un’incidenza globale di 10,5 casi per 100.000 persone, ovvero 768.473 nuovi casi all’anno nel mondo, dovuti principalmente a incidenti stradali, cadute accidentali, sport, armi ed incidenti sul lavoro. Solamente in Italia, nei cosiddetti “incidenti del sabato sera”, il 20% degli infortunati subisce lesioni spinali con invalidità permanente e l’80% degli interessati ha un’età tra i 29 e i 42 anni. Sebbene la qualità di vita di questi pazienti sia notevolmente migliorata, la patologia comporta numerose e gravi comorbidità come il dolore neuropatico ed è associata a ingenti costi per il Servizio sanitario nazionale.
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