Lunedì, 12 Luglio 2021

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità dei mari italiani sono sempre più evidenti: lo confermano i monitoraggi condotti questa estate dai ricercatori del DiSTAV dell’Università di Genova nelle aree marine protette di Capo Carbonara Villasimius (Sardegna) e di Torre Guaceto (Puglia), due delle stazioni di studio del progetto “Mare caldo” di Greenpeace, che oggi collabora con ben otto aree marine protette per studiare l’impatto dell’aumento delle temperature nei mari italiani.

I monitoraggi condotti in Sardegna nell’area marina protetta di Capo Carbonara mostrano una situazione in rapida evoluzione: fenomeni di sbiancamento delle alghe corallinacee fino ai 35 metri, non presenti nell’area lo scorso anno, e gravi impatti sulle colonie di gorgonie, soprattutto tra i 20 e 30 metri di profondità, dove in alcuni siti si è riscontrata la morte del 90 per cento delle colonie di gorgonie gialle (Eunicella cavolini). Per trovare gorgonie gialle e bianche (Eunicella singularis) in buone condizioni bisogna scendere fino a 30-40 metri. Le gorgonie rosse (Paramuricea clavata) presentano invece ancora i segni delle morie registrate nelle estati tra il 2018 e il 2020 quando le temperature superficiali hanno superato di circa un grado le medie mensili. Il fenomeno di tropicalizzazione del Mediterraneo è inoltre sempre più evidente: aumentano le specie termofile native, tra cui il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), la cernia dorata (Ephinephelus costae) e il vermocane (Hermodice carunculata), la cui popolazione è esplosa negli ultimi anni anche qui, come in Sicilia, segnale di un lento spostamento verso nord dell’abbondanza di alcune specie meridionali.

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I ricercatori del Gaslini e dell’Università di Genova contribuiscono a un maxi studio internazionale pubblicato su ‘’Nature’’, realizzato da 3500 ricercatori di 25 Paesi, che ha coinvolto 50 mila pazienti e 2 milioni di controlli sani. Lo studio ha identificato 13 regioni del genoma che portano alla forma grave di COVID-19; confermati fumo e obesità tra i fattori di rischio.


Quali sono i fattori genetici che possono influenzare il decorso della malattia da COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano una malattia grave e altri manifestano sintomi lievi od addirittura assenti? Un maxi-studio studio realizzato con un’ampia collaborazione internazionale rivela che diversi marcatori genetici sono associati all'infezione da SARS-CoV-2 e possono influenzare la gravità del COVID-19. In particolare, 13 regioni genomiche (loci) aumentano il rischio di sviluppare forme gravi dell’infezione; confermati, inoltre, i fattori di rischio dipendenti dal fumo e dall’alto indice di massa corporea. Questi risultati provengono da uno dei più grandi studi di associazione sull'intero genoma mai eseguiti, che include quasi 50mila pazienti e due milioni di controlli sani.

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Il team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano e del Policlinico di Milano, parte del progetto globale COVID-19 Host Genomics Initiative, ha contribuito a identificare 13 posizioni nel genoma umano e altri fattori predittivi che influenzano la risposta al COVID-19. I risultati appena pubblicati su Nature.

Quali sono i fattori genetici che influiscono sulla risposta al COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano malattie gravi e pericolose che richiedono il ricovero in ospedale, mentre altri se la cavano con sintomi lievi o addirittura senza alcun sintomo?

Nel marzo 2020, migliaia di scienziati di tutto il mondo hanno unito le forze per rispondere a questa domanda attraverso uno di uno dei più ampi studi di associazione genome-wide mai eseguiti: gli scienziati fanno parte del progetto globale COVID-19 Host Genetics Initiative (COVID-19 HGI) che rappresenta attualmente una delle più estese collaborazioni nel campo della genetica umana, con oltre 3.300 autori e 61 studi di 25 paesi, che è guidato da Andrea Ganna e Mark Daly, del Institute of Molecular Medicine of Finland (FIMM), Università di Helsinki. Del consorzio fa parte anche il gruppo di studio Fondazione COVID-19 Genomic Study (FOGS) presso la Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano, coordinato da Luca Valenti, docente di Medicina Interna alla Statale e medico del centro trasfusionale del Policlinico.

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Un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma ha sviluppato una nuova nanoparticella ibrida in grado di veicolare in maniera efficace e selettiva gli agenti chemioterapici. I risultati dello studio, che potranno essere applicati per la cura di diversi tipi di tumore, sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Nanobiotechnlogy
I nuovi strumenti terapeutici nella lotta contro il cancro, che sfruttano le possibilità derivanti dalle nanotecnologie, sono basati sul rilascio mirato all’interno delle cellule tumorali di piccoli frammenti di RNA, i cosiddetti microRNA. Nonostante però queste molecole possiedano un elevato potenziale per il trattamento del cancro, per garantirne l’efficacia è necessario indirizzarli selettivamente alle cellule neoplastiche.

In uno studio tutto italiano, i ricercatori dei dipartimenti di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli, di Scienze anatomiche istologiche medico legali e dell'apparato locomotore e di Chimica e tecnologia del farmaco della Sapienza hanno creato in laboratorio un nuovo sistema per il rilascio mirato di farmaci chemioterapici che utilizza specifiche molecole, i dendrimeri aminici, che agiscono come una sorta di spugna per i piccoli RNA.

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